Unione Accademica Nazionale * Università di Roma La Sapienza * Istituto Patristico Augustinianum

CMCL
Corpus dei Manoscritti Copti Letterari


Esperimento di edizione multimediale

PROBLEMI CRITICI DELLA HISTORIA ECCLESIASTICA COPTICA

È questa a nostro avviso l'opera più importante del periodo di Teodosio. Essa rispecchia più di ogni altra l'affermarsi di una coscienza nazionale delle Chiesa egiziana, che ancora si considera parte integrante della Chiesa internazionale, ma comincia a riflettere sulla sua storia particolare per trovarvi una propria identità e le ragioni della propria fedeltà a quelli che essa riteneva i veri dogmi e le vere tradizioni del cristianesimo. Essa è rimasta nella tradizione copta dei secoli posteriori come l'opera storica fondamentale, e la fonte autorevole a cui attingere le notizie di cui si avesse bisogno. Ad essa farà ricorso Severo di Ashmunein per redigere la Storia dei Patriarchi araba, che con la sua continuazione rappresenta tuttora il testo storico ufficiale del patriarcato alessandrino.

Dati i confini cronologici del contenuto, è probabile che la Historia Ecclesiastica sia stata compilata, nella forma attuale, poco prima o poco dopo la morte di Timoteo Eluro (477). È possibile che la prima parte esistesse già in una traduzione copta eseguita nel periodo precedente; la seconda parte esisteva forse sotto forma di documentazione spicciola presso il patriarcato di Alessandria, ma dato il carattere spiccatamente popolare di essa la redazione finale deve essere stata concepita appunto in questo periodo, mediante la scelta delle notizie che potessero interessare il pubblico cui si rivolgeva o che comunque fossero in linea con gli intenti del patriarcato alessandrino anti-calcedonense. Riteniamo probabile che anche questa seconda parte sia stata scritta prima in greco, ma anche riteniamo probabile una immediata traduzione in copto.

Storia degli studi. Pennso che vada dato al Von Lemm (1888) il merito di aver per primo richiamato l'attenzione su di esso, e soprattutto sui suoi rapporti con l'opera di Severo di Ashmunein. Ma a quell'epoca era troppo scarsa, e soprattutto troppo poco accessibile, la documentazione copta, perché egli si potesse fare un'idea sufficientemente precisa della situazione. Il Crum (1902), soprattutto in seguito alle sue ricerche sui frammenti dei codici provenienti dal Monastero Bianco, poté avere migliore conoscenza dei due manoscritti principali che ci tramandano i frammenti della storia copta (cioè MONB.HY = Crum «A»; MONB.FY = Crum «B»), e valutare meglio i rapporti fra loro e Severo di Ashmunein. Ma soprattutto egli vide che la storia copta offriva paralleli anche con Eusebio di Cesarea. Senza entrare in dettagli, quello che qui interessa è che egli ricavò dalla situazione che aveva sott'occhio la conclusione che i due codici contenevano una stessa opera, che era costituita dalla traduzione «riadattata» di Eusebio, seguita da una compilazione originale che giungeva all'epoca di Timoteo Eluro.

È a questo punto che si inserisce la mia edizione, che nelle intenzioni (viste con l'occhio di oggi) si proponeva di pubblicare la «seconda parte» della storia, da Pietro I di Alessandria a Timoteo Eluro, offrendo un testo critico ricavato da tutti i testimoni manoscritti allora a mia conoscenza, e cioè i frammenti dei due codici sopra menzionati (per MONB.HY solo i frammenti della «seconda parte»), un excerptum ricavato da un'opera relativa a S. Mercurio (British Library, OR6801, fol. 15-21) ed un frammento da un altro codice (Wien Papyrussammlung K9620). In effetti, secondo la mia visione di allora, si sarebbe trattato della pubblicazione completa di una delle due storie ecclesiastiche, che avevo creduto di riconoscere nei due manoscritti, come indicavo soprattutto in uno studio pubblicato contemporaneamente (Orlandi 1968): «(probabilmente) si deve escludere che il Ms. A - ora un'opera identica» (p. 61), perché: «è del tutto improbabile che i 32 fogli mancanti all'inizio del 'Ms. B' potessero contenere ciò che era contenuto nei primi fogli del 'Ms. A'» (p. 60-61).

L'errore, come credo ora sulla scorta delle critiche di Brackmann (1974), derivava dal non tener conto del fatto che il codice MONB.FY potesse rappresentare semplicemente un «secondo volume» dell'opera contenuta interamente nel codice «libro» della storia di MONB.HY era numerato come XII, e ciò non concordava colla presunzione che la prima parte contenesse il rifacimento dei 10 libri di Eusebio e che in del libro IX.

La soluzione, indicata da Brakmann (1974) (p. 139), è invece semplice: è molto probabile che la prima parte fosse il rifacimento non dell'Eusebio completo come l'abbiamo, ma della prima versione in sette libri. Una divisione in cinque libri (VIII-XII) è perfettamente plausibile per la seconda parte.

Una prima discussione della mia pubblicazione fu opera del Gribomont (1971): egli si preoccupò tuttavia soprattutto del commento relativo ai rapporti fra la storia ecclesiastica copta e Severo di Ashmunein. Lamentò giustamente il fatto che avessi trascurato il miglior manoscritto (pubblicato, sia pure senza traduzione, da Seybold 1912) e corresse parecchie conclusioni tratte a causa di tale premessa.

Come abbiamo ripetutamente accennato, chi pose su basi solide il problema dei rapporti fra i due manoscritti copti della storia fu il Brakmann (1974). Dopo di lui, Johnson (1976) pubblicò tre frammenti ancora inediti, ribadendo le conclusioni di Brakmann. Il Devos (1977) riassunse di nuovo la questione nel suo complesso, correggendo inoltre alcuni numeri di pagina del codice MONB.FY, errati nell'edizione. Non c'è che da prenderne atto, ad eccezione delle considerazioni a proposito di P129.14.73, dove si dà per encroyable (p. 151) un eventuale errore di paginazione dovuto allo scriba: 117-118 invece di 217-218. Si vede ben altro nelle numerazioni dei codici copti, per cui non pensiamo si debba dubitare dell'appartenenza del foglio a Si deve purtroppo constatare che altri problemi assai interessanti, riguardanti la redazione e il contenuto storico del nostro testo, sono stati invece quasi del tutto trascurati, dal momento che il mio commento all'edizione è lontano dall'essere esauriente, e intendeva dare solo un primo avvio alla ricerca. Indicherò qui alcuni di questi problemi, con la mia attuale opinione in merito. Utilizzazione di Eusebio: Purtroppo la prima parte dell'opera, nella quale appunto Eusebio appare la fonte principale, è anche la più lacunosa. Si nota tuttavia l'inserzione di notizie su Mani, che mancano in Eusebio; un «rovesciamento» nel testo (sequenza: VII 32,3 - 30,22 - 32,5-9); molte varianti minori. È possibile da un lato riconoscere possibilmente antiche varianti nel testo greco stesso; dall'altro farsi un'idea del lavoro del redattore copto. - Altra questione interessante: il redattore della storia ecclesiastica «copta» (si ricordi tuttavia che tendiamo a postulare una prima redazione in greco, sempre nell'ambito della Chiesa «copta») si è servito quasi sicuramente dei soli primi sette libri di Eusebio. E' possibile trovare qui una testimonianza della diffusione della prima versione dell'opera.

Dei due manoscritti principali, MONB.HY conteneva sicuramente ambedue le parti. MONB.FY conteneva solo la seconda parte, ma è possibile che formasse il secondo volume di un gruppo di due codici contenente la Historia al completo; cosí come è possibile che, nonostante la paginazione continua, anche MONB.H fosse diviso in due codici. Ambedue i manoscritti sono frammentari, ma la ricostruzione del testo si compie anche mediante il confronto:
(a) con gli altri due manoscritti copti sopra menzionati;
(b) con le parti della Storia dei Patriarchi di Severo di Ashmunein che derivano sicuramente dalla nostra Historia.

È da rilevare, dal punto di vista filologico, la concordanza molto precisa fra i testi dei due manoscritti principali (a giudicare dalle parti pervenute in ambedue), e anche con il testo dell'excerptum. È questo un caso non frequente nella tradizione manoscritta copta, che presuppone uno speciale rispetto da parte dei trasmettitori. La Historia Ecclesiastica merita un attento esame come documento della cultura egiziana post-calcedonense. Esso non è ancora stato fatto, e probabilmente passeranno parecchi anni prima che un tale lavoro possa dirsi compiuto. Vi sono invece alcuni problemi più ristretti, ai quali si può dare fin d'ora una risposta soddisfacente allo stato attuale della documentazione.

[Cf. VON LEMM Patriarchengeschichte; CRUM Eusebius; ORLANDI Edizione; ORLANDI Fonti copte, in Studi Copti; GRIBOMONT Historiographie; BRAKMANN Ein oder zwei; JOHNSON Further Fragm.; JOHNSON Tesi inedita; DEVOS Note sur l'Histoire].

Il titolo. Esso è conservato nell'indice del «libro IX» del ms. MONB.FY, nel colofone di MONB.HY, nella frase di raccordo iniziale dell'excerptum di BL.OR..... Sembra di poterne dedurre che ciascun «libro» era chiamato dalla tradizione manoscritta copta «Storia della Chiesa» (I, II, III etc.), e che il titolo esatto originale di tutta l'opera dovrebbe perciò essere tradotto con un plurale: le (12) Storie della Chiesa.

Relazioni con Eusebio. CRUM #==== espresse un giudizio molto severo sulla qualità della traduzione e sulle manipolazioni testuali a cui l'originale greco era stato sottoposto. Come spesso è accaduto a molta parte della critica in questo tipo di apprezzamenti, il giudizio è eccessivo. Qualche fraintendimento è sempre possibile nelle traduzioni antiche, ma quest'opera è da porre fra le traduzioni più meditate che si trovano nella letteratura copta, degna erede di quelle appena precedenti (IV-V secolo) che si erano trovate di fronte a testi anche difficili, come quelli di Gregorio di Nissa [cf. sopra ...] È invece esatta l'osservazione di CRUM ibid., che non si trattava di una semplice traduzione dei primi 7 libri di Eusebio, ma di una riscrittura parzialmente manipolata, soprattutto mediante l'introduzione qua e là di brani e notizie che mancavano o non erano ritenuti soddisfacenti nel testo eusebiano. È anche interessante notare come il testo copto sia un indizio in più che, oltre alla versione «normale» della Storia di Eusebio in 9 libri (testimoniata anche dalla versione siriaca), sia sempre circolata in certi ambienti la versione «primitiva» in 7 libri

Relazione con la Storia araba di Severo. Il problema puramente filologico, cioè l'uso corretto dei passi paralleli arabi per la ricostruzione del testo originale, dopo le note preliminari in ORLANDI Edizione-commento e le osservazioni di GRIBOMONT, è tutto da ristudiare. Invece, sull'uso fatto da Severo della Historia Ecclesiastica copta, e più in generale delle fonti copte [in questo trascurare gli altri testi copti è il difetto più grave di JOHNSON Tesi. Cf. ORLANDI Fonti copte] si possono dare indicazioni abbastanza precise, perchè i testi conservati parlano in certo senso da soli. Basterà dunque riassumere la situazione, indicando per ogni capitolo di Severo (dal I al =====) le relative fonti, che esistono ancora o si possono intuire. (ricordare che la parte su Filippo di Anatolia è saltata da Severo, che mette al suo posto l'episodio di Horsiesi del codice Cheltenham)

Fonti della seconda parte. Desieriamo richiamare l'attenzione sulla speciale qualità di alcune delle fonti che sono alla base della nostra storia ecclesiastica per il periodo fra Pietro I e Timoteo II. Per la vita ed il martirio di Pietro I le fonti presentano una connessione abbastanza evidente con alcuni testi che sono periferici rispetto alla più autorevole tradizione di storia ecclesiastica del IV secolo: ci riferiamo all'excerptum Veronense (per cui cf. soprattutto Kettler 1936 e Telfer 1955) e alla Passio Petri Alexandrini nelle sue varie redazioni, ivi compresa la traduzione latina di Guarimpoto (Devos 1958) con ampliamenti desunti da altri testi (sul problema in generale Orlandi 1974,2). Queste fonti sono particolari soprattutto in quanto presentano una versione degli inizi della controversia meliziana diversa da quella divenuta poi comune; e perché parlano di rapporti fra Melizio e Ario assai prima dell'inizio «ufficiale» della questione ariana.

Per la parte riguardante il Concilio di Nicea e avvenimenti subito successivi, la storia copta appare in relazione con altri documenti «minori» (ma non disprezzabili), come la Passio Metrophanis et Alexandri la Vita anonima copta di Atanasio (Orlandi 1968,2) e un Encomio di Atanasio di Costantino di Siout (VII sec.; Orlandi 1974). Si notano soprattutto i rapporti fra Alessandro di Costantinopoli e Alessandro di Alessandria, ed una storia particolare a proposito della morte di Ario.

Per la parte riguardante il periodo di Atanasio, si notano ancora paralleli con la Vita anonima copta; e poi con i testi relativi alla leggenda di S. Mercurio (cf. Orlandi 1968), e alla traslazione delle ossa di Giovanni Battista ed Eliseo Profeta (cf. Orlandi 1968,3).

La parte successiva, fino al concilio di Efeso incluso, è in un certo senso meno interessante, perché più scontata nel taglio interpretativo e nelle fonti. Quello che in sostanza volevamo sottolineare è il fatto che quelle fonti minori che abbiamo elencato rimandano tutte all'ambiente alessandrino, e ci fanno ritenere che la storia copta sia stata appunto redatta a partire da «memorie» particolarmente legate all'ambiente del patriarcato di Alessandria. Dalla fine del concilio di Efeso a Timoteo Eluro (fine della storia) il problema delle fonti diventa invece interessante, e si intreccia con quello della redazione. Si nota infatti che Severo di Ashmunein non conosce questa parte della storia, ed anzi a questo punto pone una sconsolata annotazione circa la mancanza di documenti (Evetts 1907, p. 444) e può scrivere solo poche righe su Dioscoro e su Timoteo.

Nella storia copta invece troviamo: i rapporti fra Shenute e Nestorio; notizie sul concilio di Calcedonia, che si riferiscono soprattutto a Giovenale di Gerusalemme (cf. le «Memorie di Dioscoro»: Johnson 1980); la morte di Proterio; i due Timotei. È probabile che tutta questa parte rappresenti un'aggiunta lievemente posteriore alla prima redazione dell'opera.

Si comprende da ciò che, circa l'epoca della redazione, non vi è un vero e proprio riferimento obiettivo costituito dalla fine della storia; e tuttavia anche la «prima redazione» non può essere collocata prima di Calcedonia. Essa era però, probabilmente, assai più «alessandrina» della seconda redazione, che sospettiamo coincida con la traduzione in copto.

Il problema si innesta qui infatti con quello della lingua originale. Vorremmo premettere che i nostri studi di letteratura copta ci hanno condotto ad individuare un periodo in cui in seno alla Chiesa egiziana (che stava divenendo espressamente «copta») si sono prodotti testi storico-polemici gravitanti intorno alle controversie calcedonensi. Tale periodo coincide appunto con quello intorno a Timoteo Eluro ed in questo quadro va probabilmente posta la redazione della storia ecclesiastica. In questo periodo sembra si sia scritto sia in greco sia in copto, ed è sempre difficile distinguere. Lo stesso vale per il nostro testo, del quale tuttavia, dopo quanto si è detto, è possibile postulare una redazione greca fatta forse in Alessandria quando i tempi ancora lo permettevano; ed una traduzione copta (con un'aggiunta, e forse qualche revisione) fatta poco più tardi, probabilmente presso il Monastero Bianco, vista l'inserzione dell'episodio relativo a Shenute, unica sua menzione in un testo di storia ecclesiastica.

Rapporti fra i manoscritti copti e Severo. Una recente riconsiderazione dei due manoscritti copti principali (MONB.FY e MONB.HY) ci ha mostrato che fra essi esistono anche quelle varianti tipiche della tradizione manoscritta copta, che segnalano piccoli interventi redazionali che scribi dotti si ritenevano probabilmente autorizzati a fare su quasi tutti i testi (salvo, come sembra, il testo biblico - che in questo periodo è già standardizzato! - e forse quello di Shenute). Dunque occorre cautela nello stabilire un eventuale «testo critico», ed anche nei confronti con Eusebio e con Severo, soprattutto nei passi in cui si disponga di un solo codice copto. Quanto a Severo, in particolare, siamo personalmente ancora lontani dal poter fare dei confronti attendibili; ma crediamo di poter accennare alla possibilità che Severo si basasse su una redazione un pò differente da quella dei nostri codici copti, e forse sull'originale greco.