Tito ORLANDI
     
     Chiesa Copta -- per Theologische Realenzyklopädie
     
     
     
     Secondo  l'etimologia  oggi più accettata,  il  termine 
     "copto"  è l'europeizzazione del vocabolo arabo  Qubti-
     Qibti  (variamente vocalizzato),  a sua volta  derivato 
     dal  greco "aiguptios",  che riproduceva uno  dei  nomi 
     dell'Egitto  nella  lingua autoctona.  Il  passaggio  è 
     avvenuto attraverso il latino umanistico "cophti,  cop-
     htitae".
     Gli arabi usarono inizialmente questo termine per desi-
     gnare  gli abitanti autoctoni dell'Egitto  conquistato, 
     in contrapposto ai "Rum",  cioè ai greci-bizantini.  Il 
     termine  non aveva dunque in sè connotazione religiosa. 
     Dal  punto di vista religioso la denominazione più  co-
     mune era di "melchiti" per i cristiani in comunione con 
     Costantinopoli, in contrapposto a "giacobiti" (dal nome 
     di :Giacomo Baradeo) per i "ribelli" anti-calcedonensi. 
     Questi designavano se stessi (se necessario)  piuttosto 
     col  termine  di "teodosiani",  dal nome del  patriarca 
     :Teodosio di Alessandria,  che aveva incaricato Giacomo 
     Baradeo di riorganizzare la Chiesa anti-calcedonense in 
     crisi (cf. sotto).
     Nei  secoli  successivi queste  distinzioni  vennero  a 
     perdere  chiarezza  e attualità.  Gli europei dal  XVII 
     sec.  in  avanti  riprodussero il tardo uso  locale  di 
     chiamare  "copti" la minoranza cristiana  egiziana,  in 
     contrapposto ai musulmani, e dunque Chiesa copta quella 
     a cui essi aderivano. Essendosi formate ulteriori divi-
     sioni  dovute ai contatti con le Chiese europee  (copti 
     "cattolici"; copti "evangelici"; etc.), il nome con cui 
     la Chiesa copta tradizionale preferisce oggi  chiamarsi 
     è quello di "Chiesa Copta Ortodossa".
     I limiti storico-cronologici del fenomeno "Chiesa cop-
     ta",  non potendo coincidere con quelli della sua deno-
     minazione,  diventano un problema che viene risolto  in 
     modi  diversi.  I  copti stessi pongono  la  fondazione 
     della  propria Chiesa all'epoca della (supposta) predi-
     cazione  di Marco evangelista ad  Alessandria.  Ma  per 
     quanto  riguarda una delimitazione del campo di studio, 
     la critica occidentale per lo più considera lo sviluppo 
     del  cristianesimo egiziano almeno fino al Concilio  di 
     :Calcedonia (450) come parte della storia generale  del 
     cristianesimo (:Aegypten, Kirchengeschichtlich).
     Alcuni dunque considerano il 450 come limite cronologi-
     co iniziale della Chiesa copta. Ma poiché almeno fino a 
     Giustiniano (ca. 550) il distacco dalla Chiesa bizanti-
     na non fu sentito come definitivo, è forse più corretto 
     assumere come inizio il momento in cui :Giacomo Baradeo  
     provvide  a  ristrutturare  la Chiesa  cristiana  anti-
     Calcedonense  d'Egitto in grave crisi (543  sgg.).  Gli 
     studiosi sono comunque in accordo nel chiamare  "copta" 
     la Chiesa egiziana a partire dall'epoca della conquista 
     araba.
     E'  lecito  parlare di una fondazione  culturale  della 
     Chiesa copta.  Infatti anche prima del distacco formale 
     dalle Chiese che formularono e acquisirono le decisioni 
     di  Calcedonia,  la  Chiesa egiziana presentava  alcuni 
     tratti e fenomeni particolari che vengono  generalmente 
     riconosciuti  come "copti" (o specificamente  egiziani) 
     dagli  storici,  e ritenuti come patrimonio proprio es-
     senziale dalla stessa cultura copta.
     Uno  di questi è la struttura  rigidamente  monocratica 
     della  gerarchia ecclesiastica,  col potere  accentrato 
     totalmente presso il vescovo di Alessandria. Essa viene 
     comunemente  paragonata all'organizzazione dello  stato 
     faraonico,  e  spesso il vescovo di Alessandria è stato 
     considerato l'erede dei faraoni. Il grande :Atanasio fu 
     soprattutto  considerato dai copti come  rappresentante 
     di tale concezione,  per la fermezza con cui seppe  far 
     valere  la  propria posizione (identificata con  quella 
     dell'Egitto),  e  per  la forza con cui  si  oppose  al 
     potere politico in nome della convinzione religiosa.
     Altro elemento è il movimento monastico. Esso, iniziato 
     in Egitto,  divenne ben presto fenomeno internazionale, 
     e  come tale non si può definire copto,  nel complesso, 
     nemmeno  il  monachesimo egiziano.  Ma è  indubbio  che 
     certi  elementi  culturali e spirituali  presso  alcune 
     comunità  siano da considerare fra i fondamenti su  cui 
     in seguito poggerà la Chiesa copta.  Il nome che  rias-
     sume quegli elementi è :Shenute, il grande archimandri-
     ta che porterà la lingua estremo-egizia (sia pure fram-
     mista  al  greco),  quella appunto che  viene  chiamata 
     "copta",  a livelli letterari di grande dignità, e dun-
     que  porrà  le basi della letteratura  copta,  e  nello 
     stesso  tempo,  agendo  sempre in completo accordo  coi 
     patriarchi  di  Alessandria,  darà un  saldo  indirizzo 
     etico, pragmatico, e in parte dottrinale, alle comunità 
     cristiane  del  Basso Egitto.  Saranno  proprio  queste 
     comunità a rappresentare il punto di forza della Chiesa 
     "teodosiana" nei confronti dei Calcedonensi.
     Da  Calcedonia all'invasione araba.  La Chiesa copta  è 
     dunque  il  risultato di un  complesso  susseguirsi  di 
     eventi  storici,  che  agiscono su strutture mentali  e 
     spirituali preesistenti.  Gioverà ricordarli  succinta-
     mente.
     Dopo  il rifiuto da parte del patriarca :Dioscoro (444-
     454) di accettare le risoluzioni del Concilio di Calce-
     donia,  in un primo tempo sia gli egiziani(-alessandri-
     ni)  sia l'impero speravano di poter addivenire  ad  un 
     accordo.  Il seggio di Alessandria fu conteso spesso da 
     due o più vescovi,  consacrati dai diversi partiti,  ma 
     nel complesso si cercava di evitare una netta divisione 
     di organizzazione ecclesiastica. 
     Gli  stessi anti-calcedonensi conobbero al loro interno 
     molti dissensi. Quando l':Henotikon di Zenone fu accet-
     tato da Pietro Mongo (477-490),  molti non furono  con-
     vinti,  e si formò il partito degli akephaloi,  che non 
     riconoscevano alcun vescovo ad Alessandria.
     Un'altra  divisione si formò a causa di differenti opi-
     nioni teologiche ad Antiochia, fra :Severo e :Giuliano, 
     ma  ebbe  presto riflessi  sulla  situazione  egiziana. 
     Infatti dopo la fine dello :scisma acaciano (Antiochia, 
     519)  l'imperatore Giustino perseguitò i monofisiti  di 
     Siria  ma non (ancora) quelli d'Egitto,  per cui  molti 
     siriani (fra cui appunto Severo e Giuliano) si rifugia-
     rono in Egitto. Qui ambedue i teologi trovarono adepti. 
     La  discordia divenne politica al momento della succes-
     sione di Timoteo III (535), contesa fra Teodosio (seve-
     riano) e Gaiano (giulianista).  Il primo prevarrà,  con 
     l'aiuto dell'imperatore,  ma si formerà il partito  dei 
     Gaianiti, che non ne riconosceranno l'elezione.
     Dopo  le persecuzioni di Giustiniano (527-565) e grazie 
     anche  all'opera di Giacomo Baradeo (che riuscì a  met-
     tere  riparo  dopo il periodo  di  cosiddetta  anarchia 
     seguita  alla  morte del patriarca  Teodosio,  566)  la 
     Chiesa  "copta"  comprese di dover ormai  contare  solo 
     sulla  sua capacità di sopravvivere e darsi ordinamento 
     e vita autonome.
     In  questo  periodo molta importanza ebbe  l'opera  dei 
     monaci, ed in particolare di alcune figure che, comple-
     tamente  dimenticate dalla tradizione in  lingua  greca 
     (anche anti-calcedonense),  sono celebrate in una serie 
     di  testi in copto.  Alcuni di essi  (Abraham,  Apollo, 
     Manasse) rappresentarono la resistenza anti-calcedonen-
     se  in  seno  ai Pacomiani,  che nella  loro  struttura 
     ufficiale  furono costretti a schierarsi con la  Chiesa 
     imperiale.  Essi dovettero abbandonare i loro monasteri 
     e  ne fondarono degli altri,  che divennero  il  centro 
     della resistenza teodosiana.  Questi monasteri riconob-
     bero  probabilmente  come loro punto di riferimento  il 
     monastero  fondato da Shenute,  e da questo  momento  i 
     pacomiani diventeranno estranei alla Chiesa copta.
     Verso  la fine del VI sec.  la situazione della  Chiesa 
     copta  migliorò  sensibilmente.  Il  patriarca  Damiano 
     (578-605; di origine siriana) poté agire e muoversi con 
     una certa libertà, e ne approfittò per riportare ordine 
     nella  gerarchia e serenità nell'attività normale della 
     Chiesa.
     I  rapporti con Antiochia rimanevano molto  stretti  ma 
     tormentati.  A complicarli venne la disputa "triteita", 
     nata  dalle teorie di Giovanni "Askoutzanges"  (siriano 
     di Apamea) che identificando aristotelicamente i termi-
     ni  di  hypostasis e di physis attribuiva alla  Trinità 
     tre  nature  distinte.  A tali teorie  aderirono  molti 
     gruppi anche monastici,  e una grossa personalità ales-
     sandrina,  lo studioso aristotelico :Giovanni Filopono. 
     L'eresia  triteita era stata denunciata a suo tempo  da 
     Teodosio  in  uno scritto che rimase  fondamento  della 
     dottrina  trinitaria  della Chiesa  copta.  Damiano  la 
     contrastò  con energia,  a costo di nuovi dissensi  con 
     Antiochia, che durarono per molto tempo.
     Gli  archivi  di due vescovi  (Abraham  di  Hermonthis, 
     attivo 584-624;  Pisenzio di Keft,  m.  631) largamente 
     conservati,  ci  permettono di conoscere la vita  della 
     Chiesa copta in questo periodo.  I vescovi erano scelti 
     fra i monaci, e per lo più non risiedevano nel capoluo-
     go  del  vescovado,  ma in un monastero,  di cui  erano 
     anche hegoumenoi.  Essi erano capi assoluti di tutto il 
     clero e i monaci del distretto, che governavano seguen-
     do  i Canoni riconosciuti dal patriarcato  alessandrino 
     (teodosiano), considerati come scrittura ispirata. Essi 
     nominavano il loro successore. Ordinavano i presbiteri, 
     che  dovevano  avere una certa  cultura  (conoscere  un 
     Vangelo  a  memoria  etc.),  osservare i digiuni  e  le 
     veglie prescritte,  astenersi dal commercio e dall'usu-
     ra. Sorvegliavano la correttezza delle cerimonie litur-
     giche;  provvedevano personalmente a celebrare i batte-
     simi, e per questa cerimonia particolarmente importante 
     restano numerose omelie copte.  Si occupavano anche  di 
     questioni civili:  direttamente,  se toccavano anche la 
     vita  cristiana  (la scomunica era anche per le  conse-
     guenze civili una punizione assai grave); altrimenti di 
     concerto con i magistrati, che consideravano con grande 
     rispetto l'autorità dei vescovi, in ciò incoraggiati da 
     decreti imperiali (Novellae 86 e 123). Oltre che per le 
     cure spirituali,  si ricorreva al vescovo  (soprattutto 
     se  in  fama di santo,  e dunque di taumaturgo)  spesso 
     anche per malattie o per soccorsi di carattere mondano.
     In  questa stessa epoca la Chiesa  copta,  per  effetto 
     della relativa tranquillità di cui godette,  e del tra-
     monto  dell'illusione  di  potersi  riunire  un  giorno 
     (alle sue condizioni) alle Chiese calcedonensi, conobbe 
     una  florida  stagione culturale  autonoma.  La  lingua 
     copta,  che con la sua commistione di elementi egiziani 
     e greci era stata piuttosto un fenomeno artificiale che 
     espressione popolare,  si afferma come veicolo ovvio di 
     comunicazione,  sia al livello letterario che a  quello 
     delle  attività quotidiane.  Ciò è attestato da un lato 
     da  parecchie opere (di solito sotto forma  di  omelie) 
     scritte  in  questo periodo da autori come Pisenzio  di 
     Keft,  Costantino di Siout,  Giovanni di Paralos, Rufus 
     di Shotep; dall'altro dai documenti privati su papiro e 
     ostraca pervenuti in gran numero.
     Le omelie scritte in copto erano destinate a sostituire 
     la  corrispondente letteratura dei  Padri  greci,  fino 
     allora  usata  nelle  opportune  occasioni  liturgiche. 
     Occorre  tuttavia tener presente che il greco  conservò 
     sempre  grande importanza anche in ambiente  copto.  Le 
     persone  colte erano solitamente bilingui,  e la futura 
     cultura  teologica in lingua araba si riallaccerà  alla 
     tradizione in greco piuttosto che a quella in copto, da 
     cui era assente appunto tutta la parte speculativa.
     Organizzazione amministrativa. Come era accaduto duran-
     te l'occupazione persiana,  gli arabi inizialmente man-
     tennero  nel  complesso quella bizantina,  ed anche  il 
     personale  che la gestiva proveniva  dalla  popolazione 
     locale.  Vennero  però sovrapposti dei magistrati arabi 
     per  le diverse necessità.  Al di sopra di  tutti,  con 
     potere assoluto,  l'amir  (governatore,  rappresentante 
     del Califfo);  alle sue dipendenze un capo militare; un 
     kadi per la giustizia;  un tesoriere per la finanza. Si 
     deve anche tener conto del fatto che mentre i magistra-
     ti arabi cambiavano continuamente, i copti erano stabi-
     li.
     Una  riorganizzazione  che  permettesse agli  arabi  di 
     controllare più efficacemente la situazione amministra-
     tiva comincia con gli omayyadi di Damasco, dal 661. Con 
     essa  cominceranno anche le prime reazioni  copte  (cf. 
     sotto). Nel 730 venne effettuato un censimento generale 
     per  evitare  il fenomeno di spostamenti di località  o 
     fughe  al  fine di non pagare le  tasse.  Per  cambiare 
     residenza era comunque necessario un passaporto.
     Nei primi 100 anni della dominazione il personale ammi-
     nistrativo era tutto copto. Gli arabi non erano all'al-
     tezza del compito, e del resto non si fidavano recipro-
     camente. Anche nei periodi successivi, e fino al secolo 
     scorso, in condizioni talora buone, talora drammatiche, 
     i funzionari amministrativi erano per lo più copti.
     La tassazione e i suoi problemi. Il tributo  rappresen-
     tava  il cardine dei rapporti fra conquistatori e  sog-
     getti.  Inizialmente  la tassazione non dovette  essere 
     molto pesante,  probabilmente minore che sotto il domi-
     nio  bizantino,  con la differenza che molta parte  dei 
     proventi usciva dall'Egitto. Vi era una tassa personale 
     (da  cui erano esclusi il clero e i monaci) ed un'impo-
     sta sul terreno.
     Si  hanno  anche notizie sporadiche di  altre  esazioni 
     straordinarie di vario tipo.  Il patriarca Giovanni III 
     (680-689)  fu costretto a pagare una  grossa  somma;  e 
     probabilmente ogni elezione di un nuovo patriarca dove-
     va  essere accompagnata da una donazione all'amir.  Più 
     tardi  questo  darà  luogo  addirittura  all'"acquisto" 
     della carica.  Ca. dal 700 anche i monasteri, che prima 
     erano  esenti,  furono  sottomessi al  pagamento  delle 
     tasse (ma in misura minore).  Il clero in generale  era 
     esente.  Nell'868 l'amir Ahmad b. al-Mudabbir raddoppiò 
     le  tasse e tolse l'esonero a clero e monaci.  Ma Ahmad 
     b.  Tulun,  che lo sostituì e imprigionò,  migliorò  la 
     situazione dei copti.  In seguito anche questo problema 
     seguì  le  varie vicende dei rapporti  religioso-civili 
     fra musulmani e copti.
     Rapporti  religiosi.  Sembra che nei  primi  tempi  gli 
     arabi  non  si  rendessero ben conto  del  gioco  delle 
     diverse Chiese cristiane in Egitto.  Giovanni di Nikius 
     (trad.  Charles  p.  193) deplora che dopo la conquista 
     Amr  abbia nominato magistrati  calcedonensi.  Comunque 
     poco dopo la conquista, con l'intervento di una delega-
     zione  copta che si era recata da Amr per  ottenere  il 
     rientro  di Beniamino,  vennero assegnate ai teodosiani 
     le  chiese di Alessandria e altrove di cui  disponevano 
     prima i melkiti.  I copti furono riconosciuti come  una 
     "nazione"  (millah) ed il patriarca copto come il  loro 
     capo  civile.  Si perpetua la commistione bizantina fra 
     potere  religioso  e civile.  Per questo  è  importante 
     seguire  i  rapporti sociali ed economici  insieme  con 
     quelli religiosi.
     Nel 725 i copti si possono calcolare a 5  milioni.  Gli 
     arabi erano un'infima minoranza che viveva nelle (talo-
     ra  presso)  le città più importanti.  Il loro  numero, 
     prima  che  iniziasse il  fenomeno  delle  conversioni, 
     aumentava  soltanto perché i nuovi amir arrivavano  ac-
     compagnati  dai  propri eserciti,  la  cui  consistenza 
     variava  dai 6000 ai 20000 uomini.  Accadeva anche  che 
     tribù  arabe  si trasferissero al completo  in  Egitto, 
     dando poi luogo a disordini e tumulti.
     Sotto  omayyadi e abbasidi la libertà di culto fu  com-
     pleta,  ma  controllata.  Dovevano  essere tradotte  le 
     preghiere  e la liturgia per assicurare che non  conte-
     nesse  frasi che i musulmani non potessero  permettere. 
     La  nomina dei patriarchi e dei vescovi  doveva  essere 
     sottoposta all'autorizzazione dell'emiro.  Di Beniamino 
     è  nota la raccolta delle Lettere Festali,  mentre  ciò 
     non  accade per i predecessori.  Questo è probabilmente 
     dovuto alla riacquistata liberà. 
     Nel  695 si contano 70 diocesi,  delle 100  che  sembra 
     esistessero nel IV sec.  e fino all'inizio del VII sec. 
     Nel XIV sec.  diventeranno 40.  Diminuiranno poi fino a 
     25, mentre oggi sono 41. Nel 718 l'amir Kurra ibn Sarik 
     depreda  le chiese e cerca di islamizzare i funzionari. 
     Era evidentemente iniziato il periodo di rapporti  dif-
     ficili  fra islamici e copti,  che dette luogo a vere e 
     proprie rivolte,  su cui non si hanno tuttavia  notizie 
     dettagliate. Esse erano in realtà spesso un riflesso di 
     discordie interne agli arabi. 6 insurrezioni dal 725 al 
     773  (in  corrispondenza del cambiamento a  Damsco  fra 
     califfi omayyadi e califfi abbasidi);  più grave quella 
     cosiddetta  bashmurita (829-830),  tipicamente unita  a 
     turbolenze arabe, sotto il califfo al Mamun. Pochi sono 
     i  martiri degli arabi inseriti nel sinassario.  Da ri-
     cordare  Giovanni di Fanijoit,  martirizzato  sotto  al 
     Malik  al Kamil (1218-1238),  perché su di lui è  stato 
     scritto uno degli ultimi testi della letteratura copta. 
     Gli storici alludono variamente a regolamenti discrimi-
     natori  per i cristiani.  Nel 689/90 sembra che per  la 
     prima  volta si diano disposizioni contro i  cristiani. 
     Essi  dovevano  portare segni  di  riconoscimento;  gli 
     emblemi fuori dalle chiese dovevano essere distrutti. I 
     decreti tuttavia cadevano probabilmente in desuetudine, 
     e  dopo qualche tempo tutto si risolveva col  pagamento 
     di somme per ottenere eccezioni ed esenzioni. Del resto 
     la  prassi  politica musulmana sembra essere in  questo 
     abbastanza contraddittoria nel tempo.  Si ha notizia di 
     rinnovi dei decreti nel 713/4 e ancora nel 722/3. Sotto 
     Harun el Rashid 790 si impongono di nuovo e con maggior 
     severità segni distintivi. 
     Regole più strette vennero introdotte  nell'850,  sotto 
     il califfo al Mutawwakkil:  vesti distinte, segni sulle 
     abitazioni,  divieto  di  mostrare croci  in  pubblico, 
     divieto  di  montare cavalli.  Un problema  particolare 
     riguarda la conservazione e (ri)costruzione degli  edi-
     fici di culto.  Sembra che gli storici islamici tendano 
     a  retrodatare i provvedimenti al riguardo,  e che fino 
     all'VIII  non fosse vietata la costruzione  di  chiese. 
     Poi si arrivò a impedire la costruzione di nuove (p.es. 
     editto di Mutawakkil ca.  850),  la restaurazione delle 
     antiche, e anche alla distruzione (in momenti di perse-
     cuzione).
     Quanto al fenomeno delle conversioni, spontanee o impo-
     ste  (la Storia dei Patriarchi allude a  conversioni  a 
     partire ca.  dal 760 - p.  370), nei primi due secoli i 
     convertiti  restano  musulmani  di  seconda  categoria. 
     Tuttavia,  essendo  di  cultura di solito superiore  ai 
     dominatori,  esercitarono un influsso sulla stessa dot-
     trina  islamica.  Sembra che una quantità imponente  di 
     convertiti  si abbia solo col X sec.;  e che la conver-
     sione in massa si effettui sotto i mamelucchi (dopo  il 
     XIII sec.).
     Ibn Tulun (868-883) instaura un clima di tolleranza per 
     i  cristiani;  tuttavia tratta severamente i patriarchi 
     Shenuda I (859-880) e Khail III (880-890).  Anche sotto 
     i  Fatimidi continuano buoni rapporti.  Soprattutto  Al 
     'Aziz  è grande amico dei cristiani.  Nomina viceré  di 
     Siria un copto,  Quzman ibn Mina.  Fanno eccezione:  il 
     periodo  terribile di al Hakim  e il periodo finale  di 
     transizione  con gli Ayubidi,  quando di  nuovo  furono 
     emessi decreti sui distintivi, tasse etc. e  iniziarono 
     conversioni numerose.
     Quella di al Hakim (996-1021) fu una vera persecuzione, 
     condotta  con  determinazione e ferocia,  ma  concepita 
     dalla mente di una persona non equilibrata.  In effetti 
     anche le regole imposte ai sudditi arabi erano estremi-
     ste,  e anche i giudei furono perseguitati. Ai cristia-
     ni,  a parte il rinnovarsi dell'obbligo di portare  di-
     stintivi umilianti, fu proibito di avere schiavi, furo-
     no  confiscati  beni delle  Chiese,  furono  effettuate 
     distruzioni  di  chiese e conventi.  Tuttavia verso  la 
     fine della vita lo stesso al Hakim mutò  atteggiamento, 
     tanto  da trattare i cristiani meglio degli stessi  mu-
     sulmani.
     Sotto  Salah ed Din (1174-1193) i cristiani  soffrirono 
     in un primo tempo per i sospetti circa possibili collu-
     sioni coi crociati.  Gli si vietarono le professioni di 
     segretario (funzionario pubblico) e di medico. Tuttavia 
     continuarono ad essere impiegati anche a corte.  Quando 
     poi  i  sospetti si rivelarono  infondati,  i  rapporti 
     ritornarono  buoni.  Iniziò  così il periodo  migliore, 
     sotto l'aspetto culturale, della Chiesa copta, che vide 
     il fiorire di insigni teologi,  scienziati e grammatici 
     (cf.  sotto).  Tutto questo finì quando sopraggiunse il 
     dominio mamelucco.  Esso per un certo tempo mantenne in 
     Egitto una buona prosperità economica, ma il trattamen-
     to dei cristiani fu molto duro. Funzionari copti furono 
     ancora impiegati per i compiti finanziari,  ma la  loro 
     posizione era estremamente precaria.  Appena assumevano 
     qualche importanza, venivano spogliati ed estromessi.
     Rapporti  coi  melkiti. Dopo l'invasione  araba,  e  la 
     morte  di  Ciro,  Costantinopoli nominò  un  patriarca, 
     Pietro,  ma  poi  la  sede restò vacante fino  al  742, 
     quando fu nominato un titolare.  I vescovi nominati  da 
     Costantinopoli  non riuscirono comunque a risiedere  ad 
     Alessandria.  Tuttavia  i melkiti potranno sopravvivere 
     anch'essi come comunità,  e dal 727 furono riconosciuti 
     come  nazione.  Essi daranno vita ad una cultura  abba-
     stanza  vivace,  tanto che forse saranno essi a  comin-
     ciare a produrre una letteratura in arabo .  La  Storia 
     dei Patriarchi menziona un concilio dei melkiti ca. 760 
     (p.  357),  e nel riportare la disputa a proposito del-
     l'importantissimo  santuario  di Mena (presso  Alessan-
     dria),  che  essi rivendicavano,  li dipinge  come  una 
     comunità ancora vivace e potente.  E' difficile dire se 
     in quell'epoca essi si distinguessero ancora come greci 
     (etnicamente  o  linguisticamente) o fossero del  tutto 
     assimilati ai copti.
     Sulla  vita interna della Chiesa copta le  informazioni 
     sono assai scarse,  soprattutto per i secoli  VII-VIII, 
     per  i quali la fonte sostanzialmente unica,  la Storia 
     dei  Patriarchi,  tende a privilegiare le  notizie  sui 
     rapporti con gli arabi, e fra esse quelle relative alla 
     tassazione.  Fino a quando continuò una produzione let-
     teraria  in  copto (IX sec.),  le omelie di  Beniamino, 
     Agatone  (patriarca 662-680),  Giovanni III  (patriarca 
     680-688),  Mena di Nikius (ca.  700), Zaccaria di Shkow 
     (ca. 715) ci testimoniano da un lato i rapporti sostan-
     zialmente buoni con gli invasori,  e del resto il fatto 
     che essi rappresentino un problema secondario; dall'al-
     tro  la vita tranquilla di una Chiesa alle prese con  i 
     normali problemi quotidiani di morale e di  spirituali-
     tà.
     Dalla  Storia dei Patriarchi sembra di poter capire che 
     per  parecchio tempo un punto dolente furono  i  gruppi 
     cristiani  non  allineati con il  patriarca  giacobita: 
     oltre  ai  melchiti sono spesso nominati i  gaianiti  e 
     (stranamente)  i barsanufiani.  Altri testi ci  provano 
     che  continuavano a resistere anche gruppi autonomi  di 
     meliziani.  Soltanto  dal  IX secolo si  attuò  l'unità 
     della  Chiesa,  in particolare col riassorbimento degli 
     acefali,  e  anche i rapporti coi  siriani  diventarono 
     buoni.
     Dall'VIII sec.  si diffuse l'uso di acquistare le cari-
     che  ecclesiastiche per denaro.  Questa rimarrà una ca-
     ratteristica (pur talora combattuta) della Chiesa  cop-
     ta,  derivata evidentemente dalla confusione fra potere 
     civile ed ecclesiastico (già forte sotto i bizantini, e 
     sistematizzata  dagli arabi che non facevano per  conto 
     loro tale distinzione).  Le cariche ecclesiastiche por-
     tavano  vantaggi economici e potere  sociale.  Venivano 
     pagati gli elettori del patriarca ed il Califfo, poi si 
     vendevano i vescovadi per sopperire alle perdite.
     Christodoulos  (1046-1078)  portò la residenza del  pa-
     triarca  al Cairo,  in omaggio ai Fatimidi che  avevano 
     fondato  la nuova capitale,  e quasi come  segno  della 
     rinuncia  ai  rapporti  mediterranei  per  privilegiare 
     quelli africani. In effetti Christodulos fu imprigiona-
     to  da  Yazuri per sospetto di aver complottato con  la 
     Nubia.  Egli pubblicò importanti Canoni su  matrimonio, 
     sacramenti,  consacrazioni etc. Sotto Cirillo II (1078-
     1092)  molti  armeni  si trasferirono in  Egitto  e  si 
     instaurò un'intesa con la chiesa armena. Sotto Giovanni 
     V  (1146-1164) è da segnalare una controversia relativa 
     al  sacramento della confessione,  che i copti  avevano 
     preso  l'abitudine di fare silenziosamente  in  comune. 
     Fra  il  1174 e il 1208 Markus ibn Qanbar,  di  origine 
     antiochena,  cercò di effettuare una riforma su  questo 
     tema,  riguardante  anche la liturgia,  ma senza grande 
     successo.  Cirillo III (1235-1243) fu un pessimo patri-
     arca  ma  convocò un importante sinodo  con  canoni  di 
     riforma e produsse una collezione di canoni.
     Il  sec.  XIII  è  un secolo splendido per  la  cultura 
     copta,  ed  in particolare la letteratura dei copti  in 
     lingua araba conosce il suo periodo aureo.  I primi  ad 
     adottare  l'arabo come lingua letteraria in ambito cri-
     stiano erano stati i siriani,  presso i quali era assai 
     vivo  l'interesse per la filosofia e la  teologia  (so-
     prattutto  da ricordare la figura di Yahia ibn Adi,  n. 
     893,  di  cui sono debitori gli autori copti di  questo 
     periodo).  La  letteratura copto-araba è più copiosa  e 
     più varia, ma meno ricca di contenuto speculativo.
     Severo di Ashmunein, il primo autore conosciuto, scris-
     se opere di apologia, di dogmatica, di storia (anche se 
     la  sua  autorità per la Storia dei Patriarchi  è  oggi 
     discussa),  di liturgia.  Alla fine del XII sec. Markus 
     ibn Qanbar scriverà opere di polemica ecclesiologica  e 
     di esegesi.  Ma è nel sec. XIII che incontriamo un gran 
     numero di scrittori importanti,  che scrissero su nume-
     rosi argomenti di teologia, etica, liturgia, linguisti-
     ca,  etc. Abu 'l Hair ibn al Taiyib scrisse un trattato 
     di  apologia dogmatica,  in cui trattò anche del culto, 
     dei sacramenti e della morale cristiana, rivolgendosi a 
     musulmani,  giudei  e fatalisti.  Petrus  al  Sadamanti 
     scrisse  sulla fede in generale e sulla Trinità;  Yusab 
     vesc.  di  Ahmim contro la falsificazione musulmana  di 
     dogni cristiani;  Petrus Severus al Gamil sulle  eresie 
     di melchiti,  latini,  armeni, nestoriani, una apologia 
     contro gli islamici,  e la prima redazione del sinassa-
     rio,  che poi fu sistemato da Michael vesc.  di Atrib e 
     Malig.  Al  Makin Girgis scrisse una storia che sarà la 
     fonte principale dell'arabo Makrizi per le sue  notizie 
     sui  copti;  Paulus  al Busi 8 omelie per le feste  del 
     Signore e un commentario sull'Apocalisse;  Cyrillus ibn 
     Laqlaq (patriarca dal 1216 al 1243) una raccolta  cano-
     nica  e  trattati  sulla liturgia e  sul  problema  del 
     sacramento della penitenza. Numerosi furono i grammati-
     ci,  che  fissarono  per iscritto regole e  vocabolario 
     della lingua copta che scompariva come lingua  parlata: 
     Giovanni vesc.  di Samannud (autore anche di un compen-
     dio  teologico),  Giovanni al Qalyubi,  al Tiqa Ibn  al 
     Duhairi, Ibn Qatib Qaisar.
     Gli autori più celebri del periodo furono i tre fratel-
     li,  figli  di al Assal.  Al Safi scrisse una  apologia 
     contro i musulmani e trattati sulla divinità di Cristo, 
     sulla rivelazione del Nuovo Testamento,  sulla Trinità, 
     una  raccolta  di omelie ed una di  canoni.  Hibatallah 
     scrisse  trattati sull'anima  e  sull'escatologia,  sul 
     diritto matrimoniale,  sul calendario, ed una grammati-
     ca;  Abu Ishaq scrisse una summa teologica, un'introdu-
     zione  alle  lettere paoline,  delle omelie  in  versi. 
     Finalmente  è da ricordare Abu 'l Barakat,  autore  del 
     trattato  forse più importante per la conoscenza  della 
     Chiesa copta,  chiamato Lampe der Finsternis und Darle-
     gung des Dienstes.  Esso è una vera enciclopedia teolo-
     gica in 24 libri,  su tutti gli argomenti utili a clero 
     e  laici circa la fede,  l'esegesi biblica,  il diritto 
     canonico,  la liturgia,  il culto (su tutti cf. Graf II 
     295-300).
     Col governo mamelucco inizia il periodo veramente disa-
     stroso per i copti.  Vennero distrutti chiese e conven-
     ti; vi furono persecuzioni di vario tipo; di conseguen-
     za  conversioni in massa,  che determineranno la  crisi 
     definitiva (fino all'epoca moderna) della Chiesa copta. 
     Essa  si trova da ora in avanti in condizioni  di  pura 
     sopravvivenza, pur contando qualche figura eccezionale. 
     Gabriel  V  (1409-1427) scrisse un commento al  rito  e 
     riformò i libri liturgici.
     In  questo periodo vennero restaurati,  sia pure in ma-
     niera discontinua,  i rapporti con Roma. I Copti invia-
     rono una rappresentanza al Concilio di Firenze  (1423), 
     che si proponeva di riavvicinare le Chiese orientali, e 
     da  allora inviati di Roma (soprattutto gesuiti e fran-
     cescani) si recarono in Egitto con una certa  regolari-
     tà. I tentativi di riunificazione fallirono sempre; dal 
     sec.  XVIII  si  costituì una comunità copta  cattolica 
     sotto la giurisdizione del Patriarcato copto cattolico, 
     al Cairo.
     Dopo  il grave periodo di decadenza,  la  Chiesa  copta 
     conobbe una rinascita (di cui tuttora dura la vitalità) 
     sotto  il grande patriarca Cirillo IV  (1854-61).  Egli 
     fondò scuole pubbliche,  anche per femmine; importò una 
     tipografia,  dando  impulso alla stampa di opere  della 
     letteratura  copto-araba;  restaurò i rapporti con l'E-
     tiopia. In questo periodo cessò la tassazione tradizio-
     nale  dei  cristiani (djizya),  che furono  ammessi  al 
     servizio militare.
     Non  esiste una precisa fonte esplicita che riassuma la 
     dottrina ufficiale della Chiesa copta.  Bisogna  ricor-
     rere ai teologi enciclopedisti medievali o alle raccol-
     te canoniche, da cui tale dottrina si può dedurre.
     Il canone dei libri biblici corrisponde sostanzialmente 
     a  quello della Vulgata,  salvo che comprende 3Macc.  e 
     divide in due Prov.  (Abu 'l Barakat  lib.  VI).  Oltre 
     alla Bibbia,  anche la tradizione ecclesiastica è fonte 
     della rivelazione.  Essa si manifesta soprattutto nelle 
     decisioni dei concilii ecumenici,  ed in primo luogo in 
     quelle di :Nicea,  di cui gli altri che i Copti ricono-
     scono  (:Costantinopoli  ed  :Efeso)  rappresentano  la 
     conferma.  Inoltre:  (a) nei Canoni dei sei concilii di 
     :Ancira,  :Neocesarea, :Gangra, :Antiochia (341), :Lao-
     dicea,  :Sardica;  (b) nei Canoni dei sette concilii di 
     Cartagine;  (c) in una serie di testi posti sotto l'au-
     torità  degli Apostoli:  la :Didascalia,  le :Constitu-
     tiones  clementine,   le  :Constitutiones  apostolicae; 
     (d) nei :Canones apostolorum;  (e) in una :Epistula  di 
     Pietro a Clemente.
     Delle fonti della dottrina fanno parte inoltre le opere 
     dei  Padri  che  siano generalmente  riconosciute  come 
     ortodosse,  le  costituzioni dei  patriarchi  copti,  i 
     libri liturgici.
     Quanto all'ecclesiologia, i Copti considerano la Chiesa 
     come  l'insieme delle Chiese particolari,  ciascuna con 
     la propria indipendenza.  Considerano tuttavia partico-
     larmente  rilevanti i quattro patriarcati  tradizionali 
     di  Roma  (riconosciuta come la sede  di  Pietro,  capo 
     degli apostoli),  Alessandria (sede di Marco, portavoce 
     di Pietro), Antiochia ed Efeso.
     Il  dogma  della Trinità è naturalmente  il  fondamento 
     della dottrina. Oggi si riconosce da parte degli stori-
     ci che il termine "monofisita" con cui la Chiesa  copta 
     (o  meglio la sua dottrina) è normalmente designata non 
     è  esatto nè accettabile,  in quanto  appellativo  dato 
     polemicamente dagli avversari. In realtà le distinzioni 
     dottrinali  fra  aderenti e avversari del  Concilio  di 
     Calcedonia  sono  difficilmente definibili,  così  come 
     quelle fra le diverse ramificazioni degli anti-calcedo-
     nensi.  La scissione fu dovuta più a motivi di politica 
     ecclesiastica (autorità dei maggiori patriarcati; rela-
     zioni  con  l'impero) che a  teorie  incompatibili.  In 
     complesso si può dire che i Copti restarono rigidamente 
     attaccati alla formula cirilliana dell'"una natura  del 
     Dio  logos incarnata",  interpretata in modo riduttivo, 
     pur senza infirmare la realtà dell'umanità di Cristo.
     Una  parte  popolare della dottrina  copta  è  dedicata 
     all':angelologia, diretta discendente delle speculazio-
     ni mistico-magiche del IV-VII sec.,  presenti in parec-
     chi  testi pervenuti anche in lingua copta.  Il  numero 
     delle schiere angeliche varia da 7 a 24;  gli arcangeli 
     sono 4:  Michele,  Gabriele, Raffaele, Suriel, ciascuno 
     con  proprie caratteristiche e compiti (cf.  Muller En-
     gellehre).
     I dogmi del peccato originale,  della immacolata conce-
     zione (col relativo culto mariano) e della transubstan-
     ziazione  non  presentano particolarità  rispetto  alla 
     comune dottrina tradizionale cristiana.  Anche il culto 
     dei santi è quello tradizionale, salvo che sono ammesse 
     solo  immagini dipinte e non statue.  Molti  importanti 
     erano  i pellegrinaggi ai santuari  più  popolari,  con 
     pratiche di devozione che comprendevano anche l'incuba-
     zione.  I sacramenti sono i 7 tradizionali,  e le rela-
     tive cerimonie sono regolate da una liturgia apposita.
     Nella sua lunga vita separata,  in stretto contatto con 
     l'Islam, la Chiesa copta ha sviluppato parecchie usanze 
     particolari  molto  interessanti,  che non è  possibile 
     elencare.  Accenneremo tuttavia alla pratica della cir-
     concisione per ambedue i sessi, e ai frequenti digiuni.
     Liturgia. I riti e le preghiere della Chiesa copta sono 
     raccolti  nei differenti libri liturgici,  a suo  tempo 
     elencati con precisione da Abu 'l Barakat  (cf.  Ville-
     court Muséon 1924) e da allora poco mutati.
     L'Euchologion  comprende  i riti della  messa,  in  tre 
     tipi: la messa di s. Basilio, per i giorni ordinari; la 
     messa di s. Cirillo, per la quaresima e l'avvento (mese 
     di  dicembre);  la messa di s.  Gregorio,  per i giorni 
     festivi.  Essi differiscono solo a partire dalla  parte 
     riservata  ai fedeli (chiamata anaphora).  La parte dei 
     catecumeni è comune.  Le letture bibliche da effettuare 
     durante le messe sono raccolte in ordine di  calendario 
     nel  Katameros.  Il  Synaxarion raccoglie  i  riassunti 
     (spesso  da  testi copti precedenti) di vite di  Santi, 
     martirologi e altri eventi vari, disposti secondo l'or-
     dine  delle feste del calendario per la lettura  quoti-
     diana. Il Libro della Pasqua comprende l'ufficio per la 
     Settimana Santa;  il Pontificale comprende il rito  per 
     le  consacrazioni,  per  i sacramenti e  per  l'ufficio 
     funebre;  la  Psalmodia è una raccolta di inni dedicati 
     alla Vergine e ai Santi. Vi è poi un "breviario" per le 
     preghiere quotidiane dei preti e dei monaci.
     La  musica liturgica riflette il modello  bizantino  in 
     otto toni,  e probabilmente si è mantenuta assai fedele 
     nel tempo ai modelli antichi.  Soltanto recentemente si 
     è cominciato a dedicarle attenzione da parte di musico-
     logi.
     Situazione  attuale.  Per volontà politica del  governo 
     egiziano,  mancano  oggi dati precisi attendibili sulla 
     consistenza  della  minoranza copta.  La  Chiesa  copta 
     dichiara ca.  9 milioni;  una stima prudenziale può es-
     sere  di ca.  5 milioni.  Negli ultimi decenni si  sono 
     formate molte comunità copte all'estero:  fuori dell'A-
     frica  e  del Vicino Oriente se ne contano  in  Canada, 
     Stati Uniti d'America,  Australia,  Francia,  Germania, 
     Inghilterra.
     La  gerarchia comprende il Papa,  9  metropolitani,  41 
     diocesi e ca. 2000 arcipreti e preti. Le chiese parroc-
     chiali sono ca.  1000.  I monasteri abitati sono 9  ma-
     schili e 6 femminili. La Chiesa d'Etiopia è teoricamen-
     te sotto la giurisdizione del Papa copto;  fino al 1959 
     egli  aveva il diritto di nominare il metropolita  d'E-
     tiopia.
     I  rapporti  con i musulmani non si prestano ad  essere 
     definiti con precisione. Il sentimento della nazionali-
     tà egiziana è un forte elemento di unione,  non  esiste 
     alcun tipo di segregazione religiosa, e le due comunità 
     vivono  fianco  a  fianco;  tuttavia i copti  sono  per 
     alcuni versi cittadini di second'ordine.  Le condizioni 
     per i matrimoni misti sono favorevoli ai musulmani.  La 
     costruzione delle chiese è sottoposta ad una autorizza-
     zione ufficiale, che viene ostacolata dalla burocrazia. 
     La domenica non è giorno festivo neppure per i copti. I 
     mezzi ufficiali di comunicazione raramente si  interes-
     sano ai problemi dei copti. I rappresentanti copti alla 
     Camera sono una percentuale minima; gli alti funzionari 
     dello stato sono tutti musulmani.
     QUELLEN:
     (Abu al Barakat) Livre de la Lampe des ténèbres et de l'exposition 
             (lumineuse) du service (de l'Eglise) par Abu l-Barakat,
             Texte arabe édité et traduit par Kom Louis Villecourt...
             PO 20 (1929) 575-734
     (Abu Salih) The Churches and Monasteries of Egypt... Attributed
             to Abu Salih the Armenian, ed. and transl. by B. T. A.
             Evetts, Oxford 1895 (Anecdota Oxoniensia, Semitic Ser. 7)
     (Apollo, Leben) K. H. Kuhn, A Panegyric on Apollo, Archimandrite
             of the Monastery of Isaac, by Stephen, Louvain 1978
             (CSCO 394 395)
     (Dioscorus of Alexandria ?) Dwight W. Johnson, A Panegyric on
             Macarius, Bishop of Tkow, Leuven 1980 (CSCO 415 416)
     (Iohannes von Nikius) Chronique de Jean, évêque de Nikiou. Texte 
             éthiopien publié et traduit par M. H. Zotenberg: Notices 
             et extraits 24.1 (1883) 125-605
     (Ders.) The Chronicle of John, Bishop of Nikiu, translated from
             Zotenberg's ethiopic text by R. Charles, London 1916
     (Kirchengischichte, koptisch) Tito Orlandi, Storia della Chiesa
             di Alessandria, 2 voll., Milano 1968-1970
     (Longinus, Leben) Tito Orlandi & Antonella Campagnano, Vite dei
             monaci Phif e Longino, Milano 1975
     Makrizi, Geschichte der Kopten, aus den Handschriften zu Gotha und
             Wien mit Übersetzung und Anmerkungen von Ferd. Wüstenfeld,
             Göttingen 1845 (= Hildesheim/New York 1979)
     (Samuel von Kalamon, Leben) Anthony Alcock, The Life of Samuel of
             Kalamun, by Isaac the Presbyter, Warminster 1983
     (Severus B. von Ashmunein ?) Alexandrinische Patriarchengeschichte...
             hrsg. von Christian F. Seybold, Hamburg 1912
     (Ders.) Historia  Patriarcharum Alexandrinorum, edidit Christian
             F. Seybold, Beyruth 1904 (= Paris 1904-10) (CSCO.Ar 9)
     (Ders.) History of the Patriarchs of the Coptic Church (ed. Thomas
             A. Evetts), PO 1 (1907) 99-214; PO 5 (1910) 1-215; PO 10
             (1915) 357-551 (auch fortlaufende numerierung, das wird
             zitiert). Fortsetzung: Translated and Annotated by Yassa
             ab al-Masih and O. H. E. Burmester, 4 Bde, Kairo 1943-1974
             (Publications de la Société d'Archéologie Copte)
     LITERATUR:
     Aziz S. Atiya, A History of Eastern Christianity, London 1968,
             11-145 (2. ed. Millwood 1980)
     Ders., al-Kibt, EI (2. ed. 1979) V 92-97
     Harold I. Bell, Egypt from Alexander the Great to the Arab
             Conquest, Oxford 1948
     Ders., Cults and Creeds in Graeco-Roman Egypt, (2. ed.) 1953 (LMA)
     Edith L. Butcher, Story of the Church of Egypt, 2 Bde, London 1897
     Alfred J. Butler, The Arab Conquest of Egypt, Oxford 1902 (rist.
             ***)
     Ders., The Ancient Coptic Churches of Egypt, 2 vols., Oxford 1884
             (rist. 1970)
     Marius Chaine, La chronologie des temps chrétiens de l'Egypte
             et de l'Ethiopie, Paris 1925
     Sylvestre Chauleur, Histoire des Coptes d'Egypte, Paris 1960
     Maria Cramer, Das christlich-koptische Agypten einst und heute,
             Wiesbaden 1959
     Adrian Fortescue, The Lesser Eastern Churches, London 1913
     William H. C. Frend, The Rise of the Monophysite Movement,
             Cambridge 1972 (2. ed ***)
     Georg Graf, Geschichte der christlichen arabischen Literatur,
             5 voll., Città del Vaticano 1944-1953 (StT 118 133 146
             147 172)
     Raymond Janin, Les églises séparées d'Orient, Paris 1929 (BCSR)
     Beresford J. Kidd, The Churches of Eastern Christendom from
             A.D. 451 to the Present Time, London 1927
     Martin Krause, Apa Abraham von Hermonthis, Ein oberägyptischer
             Bischof um 600, Dissertation Berlin (Humboldt-Universitaät)
             1956
     Edward R. Hardy, Christian Egypt: Church and People, New York 1952
     Adolf Jülicher, Die Liste der alexandrinischen Patriarchen im
             6. und 7. Jahrhundert: Fs Karl Müller, Tüingen 1922, 7-23
     Peter Kawerau, Ostkirchengeschichte. I Das Christentum in Asien
            und Afrika bis zum Auftreten der Portugiesen im Indischen
             Ozean, Louvain-la-Neuve 1983 (CSCO 451 = .Sub 70)
     Stanley Lane-Poole, A History of Egypt in the Middle Ages, 4. ed.,
             London 1925 (= 1968)
     Joseph Lebon, Le monophysisme sévérien, Louvain 1909
     Jean Maspero/(Adrian Fortescue/Gaston Wiet), Histoire des Patriarches
             d'Alexandrie depuis la mort de l'Empereur Anastase jusqu'à
             la réconciliation des Eglises Jacobites (518-616), Paris 1923
             (BEHE.H 237)
     Otto F. A. Meinardus, Christian Egypt Ancient and Modern, 2. ed. Cairo 1977
     C. Detlef G. Müller, Grundzüge des christlich-islamischen
             Ägypten, Darmstadt 1969 (Grundzüge 11)
     Ders., Die koptische Kirche zwischen Chalkedon und dem Arabereinmarsch:
             ZKG 75 (1964) 271-308
     Ders., Aufbau und Entwicklung der koptischen Kirche nach Chalkedon (451):
             Kyrios 10 (1970) 202-210
     Ders., Die Engellehre der kotpischen Kirche, Wiesbaden 1959
     Ders., Geschichte der orientalischen Nationalkirchen: Die Kirche in ihrer
             Geschichte, I D 2, Gottingen 1981, 269-367
     Henri Munier, Recueil des listes épiscopales de l'Eglise Copte, Kairo 1943
     Ders./Gaston Wiet, L'Egypte Byzantine et Musulmane, Kairo 1932
             = Précis de l'histoire d'Egypte II
     Tito Orlandi, Coptic Literature, in: B. A. Pearson, J. E. Goehring (edd.),
             The Roots of Egyptian Christianity, Philadelphia 1986,
             p. 51-80
     Eugène Revillout, Textes coptes, extraits de la correspondance
             de St. Pésunghius, évêque de Coptos, REg 9 (1900) 133-177
     Martiniano Roncaglia, Histoire de l'Eglise Copte, 4 Bde (cont.), 
             Beyrouth 1966-
     Bertold Spuler, Die koptische Kirche: HO I/8, 2, 1961 (2)1964, 269-308
     Rudolf Strothmann, Die koptische Kirche in der Neuzeit, Tübingen
             1932 (BHTh 8)
     Janet Timbie, The State of Research on the Career of Shenoute of
             Atripe, in: B. A. Pearson, J. E. Goehring (edd.),
             The Roots of Egyptian Christianity, Philadelphia 1986,
             p. 258-270
     Stefan Timm, Christliche Statten in Agypten, 2 Bde., Wiesbaden 1979
             (Beihefte zum TAVO B 36)
     Paul van Cauwenbergh, Etude sur les moines d'Egypte depuis le concile
             de Chalcédoine (451) jusqu'à l'invasion arabe (640),
             Paris/Louvain 1914 (= Milano 1973) (DGMFT II 6)
     Friedhelm Winkelmann, Die östlichen Kirchen in der Epoche der
             christologischen Auseinandersetzungen, Berlin 1980 (KGE 1.6)