METODI AUTOMATICI
                  PER LA STAMPA DI TESTI UMANISTICI
     
     
     
     1. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA.
     
     1.1 Preliminari.
     
        Quello che presentiamo è il resoconto rimaneggiato e "ar-
     monizzato" (ad opera di Tito Orlandi) di un incontro di stu-
     dio  effettuato nell'aprile 1987 a Bologna.  Il problema af-
     frontato era quello di ottenere mediante sistemi  automatici
     la  stampa  con  impaginazione  di testi contenenti non solo
     tutte le usuali  forme  tipografiche  dei  caratteri  latini
     (caratteri  grandi  per  i  titoli,  maiuscoletto,  corsivo,
     neretto, etc.)  ma anche caratteri diversi,  quali  greco  e
     caratteri  orientali, purché non ideografici o pittografici.
     (Per questi ultimi  attualmente  l'unica  soluzione  per  la
     stampa sembra rappresentata dall'uso del *plotter, oppure di
     *stampanti grafiche con *software molto sofisticato,  e  co-
     munque  i sistemi non sono soddisfacenti per varie ragioni).
        I risultati da ottenere  devono  essere  comparabili,  ai
     vari  livelli  possibili, con quelli che si hanno mediante i
     procedimenti tradizionali di stampa:  da  quelli  cosiddetti
     off-set  a quelli ottenuti con macchine linotype o monotype.
        Il fine di questo contributo è quello di mettere al  cor-
     rente  il lettore non specialista di informatica dei diversi
     procedimenti, dai più semplici ai più costosi,  con  i  loro
     pregi ed i difetti.  L'indagine è stata condotta nell'ambito
     di una ricerca riguardante soprattutto il  problema  di  ot-
     tenere  testi  a stampa comprendenti caratteri orientali, in
     particolare quelli delle lingue, vive  o  morte,  del  Cris-
     tianesimo  Orientale  (greco, siriaco, copto, arabo, armeno,
     georgiano etc.).  Tuttavia il suo sviluppo ci sembra  inter-
     essare tutti coloro che hanno problemi di stampa con qualsi-
     asi tipo di caratteri speciali.
        L'intento della ricerca non era comunque quello di formu-
     lare  programmi  specifici nuovi per risolvere i problemi di
     visualizzazione e stampa dei testi, ma di utilizzare e armo-
     nizzare  le diverse procedure che fossero già state attuate.
     Inoltre il problema particolare della stampa  dei  caratteri
     orientali  o  comunque  non  latini  è visto all'interno del
     problema più generale della corretta codifica dei testi (in-
     put),  della visualizzazione su schermo, dell'impaginazione,
     e dell'uscita su carta tramite stampante.
     
     1.2 Ambiente di lavoro ed interazione di sistemi flessibili.
     
        Prima di iniziare la trattazione vera e propria del prob-
     lema è opportuno discutere brevemente l'ambiente nel quale e
     per il quale si presuppone che tale trattazione possa essere
     utile.
        Essa si rivolge allo studioso singolo, o anche  a  gruppi
     di  studiosi  riuniti  in una organizzazione di ricerca, che
     comunque abbiano accesso singolarmente  e  personalmente  al
     computer, sia nella forma di uno strumento personale, sia in
     quella dell'accesso personale ad  uno  strumento  collettivo
     (terminale  collegato  ad  un  elaboratore  di grandi dimen-
     sioni).
        La prospettiva ottimale, non ancora attuabile soprattutto
     in  ambito  di  ricerca  umanistica  per motivi economici, è
     quella dell'eliminazione del supporto cartaceo in  tutto  il
     processo  che va dalla raccolta di informazioni da parte del
     ricercatore (spoglio di bibliografia, lettura e copiatura di
     manoscritti,  etc.)  alla produzione di monografie e di edi-
     zioni di testi, alla diffusione di tale produzione.
        Per meglio dire, si tratta di usare il supporto  cartaceo
     solo  là  dove  è  veramente necessario, o è comunque scelto
     liberamente dal ricercatore e non imposto da condizioni  es-
     tranee alla precisa volontà del ricercatore.
        La  prospettiva  è  soprattutto nel senso di eliminare la
     carta durante i procedimenti intermedi, ed eventualmente an-
     che  nella  diffusione del risultato delle ricerche, salvo a
     poter stampare singolarmente (da parte di ogni  interessato,
     che può essere anche il ricercatore in questione) al momento
     voluto il prodotto definitivo, e quelli intermedi, ottenendo
     un  risultato  di  stampa paragonabile al libro prodotto con
     procedure tradizionali di tipografia.
        Si tratterebbe quasi di libri o parti di  libri  "person-
     ali", cioè non moltiplicati in grande numero di copie (medi-
     ante tiratura tipografica), ma prodotti solo quando  vi  sia
     un'immediata necessità.
        La carta viene insomma a rappresentare un supporto di us-
     cita per usi speciali, e non un veicolo  privilegiato  (come
     ora  accade per motivi economici e di tradizione o di abitu-
     dine) negli stadi intermedi della ricerca.
     
        Più concretamente, si può immaginare un umanista che  la-
     vori  soprattutto  con  testi  (linguista, storico, filologo
     etc.). Egli legge manoscritti, legge  bibliografia,  combina
     testi,  estrae  materiali,  ricostruisce  avvenimenti; e poi
     produce tipi di testi abbastanza omogenei: cataloghi,  mono-
     grafie, edizioni.
        Egli  deve  avere la possibilità di annotare direttamente
     nella memoria della macchina qualsiasi osservazione stia ef-
     fettuando,  a partire dai testi che utilizza, ovvero qualsi-
     asi collegamento logico o  concettuale  che  gli  capiti  di
     fare.  In questo modo egli potrà rapidamente tornarci sopra,
     combinarli con tutte le osservazioni dello stesso tipo, sec-
     ondo  i  suoi bisogni, passarli da un *file all'altro, senza
     dover ricorrere a passaggi sulla carta. A seconda del lavoro
     che uno fa, sarà privilegiata una parte o un'altra di questo
     sistema.
        Quello che sarà veramente un'innovazione nel campo di la-
     voro  umanistico, portata dalla macchina, sarà di permettere
     di utilizzare la macchina in maniera  veramente  interattiva
     prima  di  avere  il risultato finito (testo critico o mono-
     grafia) da stampare. A questo punto veramente sarà eliminato
     tutto  quello  che  rappresenta  il materiale di costruzione
     tradizionale del lavoro umanistico.
       Finché invece si usa la macchina soltanto alla  fine,  per
     sottoporre a procedimenti informatici il lavoro finito, sarà
     sempre un modo improprio di utilizzarla.  Lo studioso ad  un
     certo  punto,  solo dopo che si è fatto lo schedario a mano,
     inserisce in macchina i dati disponibili e li  fa  stampare.
     Il  vero  cambiamento del nostro modo di lavorare sarebbe al
     livello in cui si riesce a sostituire tutto con  la  memoria
     magnetica.
     
        Tutto  ciò  non  è  utopistico. Nella situazione attuale,
     sembra che basterebbe fare un piccolo sforzo, perché il tipo
     di  *software  necessario esiste.  Basterebbe in sostanza un
     buon *data base che permetta di utilizzare  i  *file  creati
     con  un *word processor come *editore, e poi l'*impaginatore
     etc.
        Dunque gli strumenti, almeno in parte, ci sono già.  Tut-
     tavia  questo, invece che semplificare, complica i problemi,
     perché tali strumenti sono di solito prodotti  indipendente-
     mente  uno  dall'altro, e privilegiano uno o l'altro momento
     del procedimento.  Rimane da  studiare  la  connessione  che
     serva  a noi davvero, p.es. fra un data base ed un word pro-
     cessor, etc.  In fondo questi sono gli strumenti essenziali,
     ma  prima di mettere a punto una cosa del genere in modo che
     sia veramente utile allo studioso che ha a che fare con  di-
     versi alfabeti, ci vorrà molto tempo.
        L'esigenza  di sostituzione assoluta di memoria magnetica
     alla carta sembra non esagerata, ma per  il  momento  troppo
     complessa, per la difficoltà di far interagire programmi per
     "prendere appunti", altri per ordinarli (data  base),  altri
     per  diffondere  le notizie, altri per impaginare, altri per
     avere sul video e sulla stampante caratteri diversi da quel-
     li  latini (essi stessi nelle differenti varietà nazionali),
     e soprattutto avere file che siano  utilizzabili  con  altri
     *packages.
        Dunque  la soluzione non è ovvia o comunque non è di poco
     costo.  La stazione di lavoro dovrebbe essere di basso  cos-
     to.   In  relazione ad essa, si dovrebbe realizzare l'inter-
     azione di vari tipi di programmi, che sono  invece  studiati
     ciascuno  per lavorare da solo (anche l'interazione di Word-
     Star con DBase, o programmi unificati  di  questo  tipo  non
     sono soddisfacenti).
     
        In  più per l'umanista c'è il problema della molteplicità
     di alfabeti, con la necessità di  passare  con  immediatezza
     dall'uno  all'altro, cioè di avere posti di lavoro in cui si
     passa da un alfabeto ad un altro con grande disinvoltura.
        Gli alfabeti non latini vengono  ottenuti  oggi  general-
     mente mediante programmi che si inseriscono fra un Word Pro-
     cessor o un Editor e le *interfacce, interne alle  macchine,
     che gestiscono lo schermo e/o la stampante. In corrisponden-
     za di determinati *caratteri di controllo inseriti dal WP  o
     Editor  lo schermo o la *matrice della stampante sono istru-
     iti ad eseguire non  un  determinato  carattere  latino,  ma
     quello  greco  o  arabo  etc.   corrispondente,  secondo una
     tabella prefissata.
        Si  comprende  come  tali  programmi  siano  strettamente
     legati  ai  WP  da  una parte, e alla configurazione interna
     delle macchine dall'altra. E' molto  difficile,  allo  stato
     attuale  delle cose, trasmettere agevolmente da una macchina
     all'altra dei file che possano essere sottoposti al medesimo
     tipo  di  gestione in ambedue le macchine, con programmi di-
     versi.
        In realtà non c'è sempre bisogno di  tutti  gli  alfabeti
     contemporaneamente  o  comunque  per  lo stesso utente.  In-
     oltre, si potrebbe anche pensare ad un alfabeto che ha tutti
     i  segni di traslitterazione scientifici, senza ricorrere ai
     diversi tipi di scrittura.  Per esempio un arabista potrebbe
     dire:  io  posso anche rinunciare all'arabo, purché abbia la
     possibilità di mettere un punto sotto la t, un segno a v so-
     pra  la  s,  etc.  Un alfabeto latino, con la possibilità di
     mettere sopra e sotto le singole lettere dei segni diacriti-
     ci, potrebbe sembrare già una soluzione.
        Questa è un'illusione. A questo punto infatti il problema
     diventa non è soltanto di video o di  stampa,  ma  anche  di
     tastiera, perché si tratta di vedere quali sono i comandi da
     tastiera per mettere i segni diacritici, (il  che  introduce
     segni di controllo invisibili nel file e lo rende inadatto a
     procedimenti dipendenti da programmi diversificati)  e  come
     poi  i segni di controllo vengano letti e compresi e gestiti
     da altri programmi di impaginazione, etc.
        Questo tipo di soluzione è dunque da scartare. Diverso  è
     naturalmente il discorso dell'impiego scientifico dell'alfa-
     beto fonetico. In questo caso  l'alfabeto  fonetico  sarebbe
     parte  di un *package, e il file ottenuto sarebbe sottoposto
     a procedimenti che ne  prevedono  l'utilizzazione  in  campo
     strettamente linguistico.
     
     1.3 Situazione attuale.
     
        IL  PROBLEMA DEGLI AMBIENTI DI LAVORO E' MOLTO SENSATO MA
     E' MOLTO COMPLESSO. Non è possibile che  l'aiuto  arrivi  da
     parte  di chi non conosce a fondo le necessità dell'ambiente
     di lavoro umanistico. Chi risolve il problema è chi  davvero
     ci sta dentro.
        Ogni ambiente di lavoro richiede la progettazione ex novo
     degli strumenti. E' impossibile che si riesca  a  creare  un
     ambiente  di  lavoro per gli umanisti utilizzando esclusiva-
     mente gli strumenti a disposizione, creati per altri tipi di
     lavoro  (soprattutto di ufficio). E' più facile per un uman-
     ista imparare a programmare almeno quel tanto che basta  per
     alcune necessità sue particolari, che non ad una persona che
     sappia  programmare  entrare  in  una  tematica   specifica,
     qualunque essa sia (e tanto più di ricerca umanistica).
        E ad ogni modo, più che di facilità intrinseca di costru-
     ire questo o quel programma, il problema è di efficacia e di
     dedicare  il  tempo necessario alla soluzione. Se si ricorre
     ad informatici di professione il  procedimento  diventa  es-
     tremamente costoso.
        Il  problema della programmazione è quello dei LINGUAGGI.
     C'è un linguaggio più semplice, che p.es. è quello degli or-
     dini da dare ad un *package già fatto. Il linguaggio di pro-
     grammazione "normale" è per lo  più  complicato,  in  quanto
     deve    offrire    maggiori    possibilità   e   soprattutto
     flessibilità. Ma talora è più semplice fare certe operazioni
     mediante il linguaggio diretto di programmazione che non me-
     diante i comandi ad un *package.
        Altra cosa è ancora potere, in certi casi molto  specifi-
     ci,  intervenire direttamente sulla costruzione di un *pack-
     age, intervenendo sul programma di cui è costitutito. Questo
     è  ciò  che offrono le utilities nel sistema operativo *UNIX
     (e solo parzialmente nel *MS-DOS o similari) e ci sono  casi
     in  cui  può  essere  conveniente  servirsi di questa possi-
     bilità. Tuttavia  è  piuttosto  conveniente  agire  su  quei
     *packages  a livello di input o di output (mediante dei fil-
     tri), senza stuzzicare la bestia dall'interno.
     
     
     
     2. LA GESTIONE DEI TESTI PER LA MEMORIZZAZIONE E LA  STAMPA.
     
     2.1 Preliminari.
     
        Veniamo  dunque al problema pratico per il quale vogliamo
     qui dare alcune indicazioni, in relazione agli studi ed alle
     esperienze fatte in seno al progetto di ricerca sull'Oriente
     Cristiano,   finanziato   dal   Ministero   della   Pubblica
     Istruzione  per  il  settore  delle  ricerche  di  interesse
     nazionale.
        Si è preso in considerazione uno studioso  di  discipline
     umanistiche  in  generale, ivi comprese quelle che hanno ne-
     cessità di uscite a  stampa  particolari,  in  relazione  ad
     analisi  di  testi scritti in alfabeti particolari. Si tenga
     presente che anche per le normali necessità  di  stampa  per
     studiosi  di lingue moderne i problemi sono simili, anche se
     meno complicati.
        Faremo riferimento a macchine informatiche a vari  livel-
     li, che possono essere disponibili.  Naturalmente quelle più
     potenti  danno  maggiori  possibilità  di  avere   risultati
     sofisticati,  ma  anche  quelle  piccole  possono dare buoni
     prodotti.
        Perciò lo studioso cui si accennava  prima  può  avere  a
     disposizione un Personal Computer, oppure anche una macchina
     più potente: un *mini-computer, su  cui  lavorano  contempo-
     raneamente  più  utenti,  o  un main-frame, anch'esso multi-
     utente, e di grande potenza, di  solito  situato  presso  un
     Centro di Calcolo della sua Facoltà o Università).  Egli può
     disporre di una stampante a punti grafica  (margherita  o  a
     punti non grafica non possono risolvere se non problemi min-
     imali...), oppure di una stampante  laser  (cf.  sotto,  de-
     scrizione dei vari tipi).
        Egli  può  disporre di diversi tipi di software, o quelli
     per i PC meno potenti, ovvero quelli per PC nati a suo tempo
     per  i main frames e dunque assai potenti, oppure quelli che
     girano sui main frames. Egli può accedere ad un  service  di
     fotocomposizione,  o mediante dischetti (dunque direttamente
     dal PC) o mediante nastri (dunque dal main frame).
        Cercheremo di indicare come usare al meglio  queste  mac-
     chine, quali problemi sorgono ai vari livelli, quali possono
     essere i modi di superarli in tutto o in parte.
     
        Tre momenti si possono distinguere  individualmente,  pur
     essendo  molto  legati  fra  loro: SCRITTURA, IMPAGINAZIONE,
     OUTPUT (STAMPA; VIDEO). Si dovrà: 1. Vederli nei loro  prob-
     lemi  specifici;  2.  Studiare  come  le soluzioni di questi
     problemi vadano trovate tenendo conto dell'interazione (tem-
     poralmente ma anche concettualmente successiva) fra di essi.
     
     2.2 Scrittura.
     
        Generalmente si è attratti a prima vista da programmi che
     promettono cose meravigliose compiute immediatamente e auto-
     maticamente (impaginazione; note a pie' di pagina; caratteri
     speciali...)  e  viste  immediatamente sul video.  Ci si ac-
     corge poi che, giunti ad un livello superiore  (esigenze  di
     stampa  o  di  riutilizzazione  dei file per data base o per
     concordanze, indici, scambio di file con altri  ricercatori,
     etc.) essi non funzionano.
        I word processor sul mercato (WS, PWP, Framework, Script,
     Applewriter...) vedono come elemento di base la PAGINA.  Gli
     editor  vedono  la  riga  (per pura utilità di visione sullo
     schermo) e comunque un tipo di scrittura "kilometrico".
        Per scrivere testi ci sono due filosofie: quella  che  si
     serve  di  un PLL = Page Layout Language (comandi per lo più
     in chiaro, inseriti nel testo  come  se  fossero  parte  del
     testo  stesso),  e il tipo WYSIWYG (What You See is What You
     Get), in cui gli ordini per impaginare,  cambiare  i  carat-
     teri, numerare capitoli e sotto-capitoli, etc. sono definiti
     in sede diversa dalla scrittura, in una parte  speciale  del
     programma, ed agiscono immediatamente sul testo.
     
     ***INSERIRE QUI TAVOLE ESPLICATIVE
     
        Il  WYSIWYG privilegia l'interattività, il PLL privilegia
     una struttura di  linguaggio.  (Un  esempio  sofisticato  di
     WYSIWYG  è  il  programma Applewriter o quello per il MacIn-
     tosh).
        Vantaggi e svantaggi. Usando un WYSIWYG  si  ha  la  sen-
     sazione  di  usare  un  sistema  interattivo  in cui si vede
     subito quello che fa la macchina, con maggiore  capacità  di
     decidere  quello  che  si vuole nella propria pagina. In una
     prima fase il WYSIWYG dà grosse sensazione di facilità d'uso
     (si vede subito il corsivo, il boldface, etc.). Inoltre si è
     sicuri che ciò che si vede à ciò che si ottiene, e quando si
     passa alla stampa non c'è più nulla da correggere.
        Tuttavia col WYSIWYG non ci si rende conto che da un lato
     si compiono le operazioni di scrittura familiari (quando  si
     battono  i caratteri, ci sono effettivamente i caratteri che
     uno ha scritto), ma dall'altro, in mezzo a questo file,  c'è
     tutta  una  serie di altri comandi, che uno ha messo, ma che
     non vede (ne vede solo gli effetti). Il vero  file  generato
     dal  WYSIWYG risulterebbe del tutto illeggibile da chi lo ha
     scritto, ed inoltre è illeggibile da  qualunque  altro  pro-
     gramma che non sia quello esattamente che lo ha generato.
        I  comandi "trasparenti" che stanno nel file sono "scrit-
     ti" in un linguaggio che va al di là addirittura della  con-
     venzione  ASCII, che rimane una specie di linguaggio macchi-
     na, dunque legato alla macchina che lo ha generato.
        Questo è un  primo  grosso  problema,  ed  è  gravissimo,
     perché
        (1)  rimane  difficile  scambiare file con altri ricerca-
     tori; (2) non è possibile leggere i files con altri program-
     mi; (3) rimane difficile cambiare la stampante.
        L'altro  problema  è  che  questo metodo, che sembra così
     bello, in realtà è il metodo peggiore  dal  punto  di  vista
     della  qualità.   Infatti  è  lo  scrittore  il responsabile
     dell'impaginazione.  Sembra piacevole poter collocare  imme-
     diatamente  le  varie  parti  del testo dove si vuole, ma il
     risultato è di solito brutto, o  per  lo  meno  lo  è  nella
     misura  in  cui  lo scrittore non è un tipografo profession-
     ista, e non conosce le elementari o meno  elementari  regole
     che governano la tipografia.
        Insomma, un profano di tipografia è chiamato a fare delle
     scelte che sono proprie di un  tipografo,  ed  il  risultato
     sarà  cattivo.  La  possibilità  di  forzare  le  regole ti-
     pografiche sembra comoda, ma conduce a cattivi risultati.
        Inoltre, se ci si pente di scelte fatte, il cambiamento è
     per  lo  più rimandato all'autore, e non può essere fatto in
     maniera automatica. Occorre tornare su tutti gli errori (ti-
     pografici)  per  correggerli  (p.es. se si vuole fare in due
     colonne un testo fatto ad una).
        Il  word-processor  del  tipo  WYSIWYG  è  facile   d'uso
     nell'immediato, ma è di bassa qualità, difficilmente correg-
     gibile e scarsamente portabile (cioè utilizzabile in diversi
     ambienti  operativi).  E' dunque adatto solo ad un uso molto
     moderato dove non conti la qualità (ufficio, etc.).
        Il PLL dà gli opposti vantaggi, soprattutto riguardo alla
     portabilità.  Il  file  che  si  produce è "ONESTO", cioè in
     memoria contiene esattamente e soltanto i caratteri del cod-
     ic  ASCII (o eventualmente quelli del codice standard che lo
     sostituirà) che servono a far apparire sul video  o  inviare
     alla  stampante  il  testo  di  cui  è composto il file.  Si
     potrebbe affermare che tutte le volte che il computer non  è
     usato  come  semplice  macchina  da  scrivere, occorre che i
     testi siano memorizzati in file "onesti".  Si  deve  infatti
     ricordare  che  non c'è solo il problema della impaginazione
     di un testo, ma anche quello dell'eventuale successiva elab-
     orazione automatica (concordanze etc.).
        Un  file onesto inoltre può essere trasformato facilmente
     e automaticamente.  I cambiamenti possono essere  clamorosi,
     perché vengono fatti dalla macchina.
        Inconveniente:  non  si vede fino al momento della stampa
     la pagina come apparirà stampata, salvo non avere un  parti-
     colare  video  grafico,  e  comunque anche in questo caso si
     vede in un secondo tempo o parzialmente.   L'ambiente  otti-
     male  è  quello  in  cui è presente un video grafico con due
     finestre. In  una  finestra  si  vede  ciò  che  si  scrive,
     nell'altra  si  vede  il risultato finale. In questo modo si
     possono correggere immediatamente gli errori.  Questa non  è
     interattività, ma si chiama PREVIEW.  Tuttavia per il momen-
     to il procedimento presenta  costi  superiori  alle  normali
     possibilità della ricerca umanistica.
        Nelle  condizioni  normali  si  deve tornare al documento
     dopo una prova di stampa, e correggere gli errori  (natural-
     mente quelli di comando tipografico). In generale inoltre la
     correzione da *listing è più complicata, perché insieme  col
     testo si vedono le istruzioni per l'impaginazione, il cambio
     dei caratteri etc. Si può pensare, in  questo  caso,  ad  un
     listing  depurato  da  quasi  tutti  i  comandi inseriti nel
     testo, per la pura correzione del testo "concettuale".  (Per
     questo problema cf. anche sotto).
     
        Per  quanto  riguarda  il PROBLEMA DEI CARATTERI E SET DI
     CARATTERI SPECIALI, esso  consiste  nel  fatto  che  oggi  i
     costruttori  non  li  prevedono.  Occorre dunque ricorrere a
     programmi, che oggi sono in commercio, ma si basano  su  una
     stretta  interrelazione fra tipi precisi di TASTIERA, VIDEO,
     STAMPANTE. Per questo il problema viene risolto sul piano in
     certo  senso  "personale",  o  comunque di piccoli gruppi di
     utenti del medesimo software con le medesime macchine, e  si
     incorre nei consueti inconvenienti per lo scambio dei file o
     la loro gestione con altri programmi.
        Comunque il problema è facilmente risolubile in  prospet-
     tiva.  La  tendenza oggi nei sistemi più evoluti è quella di
     accettare un character set a 16 bit (ca. 16000  possibilitè)
     nel  quale siano comprese in modo standard tutte le partico-
     lari lettere di questa o quella scrittura  storicamente  at-
     testata.
        Questo   è   il   problema  della  internazionalizzazione
     dell'uso dei calcolatori, ma può servire (dato l'enorme rag-
     gio di possibilità) per una standardizzazione degli alfabeti
     speciali.
        Bisogna però fare attenzione che le macchine che  faranno
     eventuali  altre operazioni automatiche sul testo abbiano lo
     stesso codice per i segni "oltre" l'ASCII (che è tipicamente
     americano).  Si  dovrebbe sempre badare che i manuali almeno
     dichiarino esplicitamente il codice che usano  per  tutti  i
     segni di cui è capace un certo sistema (video e comando del-
     la stampa). Questo vale sia per i  calcolatori  sia  per  le
     stampanti.
        Il  vero  problema è quello della CODIFICA, cioè di avere
     un segno (o gruppo di segni) ben definito e usato solo in un
     caso per ogni fenomeno grafico che si vuole memorizzare.
        Il segreto è sempre quello del file "onesto" (cf. sopra).
     Spesso p.es. le cosiddette lettere  accentate  sono  scritte
     per  mezzo  di  "caratteri  di  controllo", per cui lette da
     un'altra macchina o da un altro programma  costituiscono  un
     elemento  "disonesto"  .  In  questo  caso però è abbastanza
     facile sistemare le cose con dei filtri (in entrata o in us-
     cita,  a  seconda  delle  necessità).   Si può peraltro con-
     sigliare l'uso dell'accento grave (prima e dopo),  parentesi
     graffe  per la cediglia etc., e in tutti i modi è consiglia-
     bile non usare altra tastiera che quella americana.
        Quando non esiste ancora uno standard universalmente  ri-
     conosciuto,  è  raccomandabile che gruppi di lavoro interes-
     sati ad un particolare set  di  caratteri  si  accordini  su
     *filtri univoci di input e di output.
     
        Superato  dunque  il  problema della codifica, vengono in
     luce i veri problemi tecnici,  sui  quali  ci  sofferemeremo
     ora.
     
     2.3 Impaginazione.
     
        Il  problema  della impaginazione si pone soltanto usando
     il PLL (del resto, come si è visto, raccomandabile in  quasi
     tutti  i casi). Tuttavia, anche partendo da un PLL, è possi-
     bile avere un cosiddetto *preview, cioè un procedimento  che
     dà  un  effetto simile a quello dei *packages del tipo WYSI-
     WYG, senza modificare i principi del PLL. Si tratta di  sot-
     toporre  il  file scritto con PLL ad un procedimento diciamo
     così "immediato" di impaginazione, che può uscire sia (p.es.
     a  livello  di Personal Computer) su una stampante locale, a
     matrice di punti o laser,  sia  eventualmente  sullo  stesso
     video.
        In questo caso, un elemento da tener presente è quello di
     avere o non avere un video  che  sia  capace  di  riprodurre
     quello  che  farà  la  stampante (cioè un video grafico, che
     possa fare il *preview).  Il *preview è  qualcosa  che  pre-
     disponga  la posizione relativa dei caratteri sul video come
     si disporranno sulla pagina.
        Occorre rendersi conto che video e stampante sono per  il
     calcolatore  semplicemente  due modi diversi di stampare. Il
     *preview è un metodo di stampa. Se si usa il WYSIWYG esso  è
     anche un metodo di scrittura; altrimenti sarà solo un metodo
     di stampa.
        Un  programma  standard  di   impaginazione   normalmente
     prevede  un certo numero di stampanti e di tipi di video sui
     quali potrà operare, e non su altri. Esso d'altra  parte  li
     dichiarerà  (nel manuale o altro), e bisognerà semplicemente
     prestare molta attenzione.  L'utente normale si deve rasseg-
     nare  al  fatto che un certo *package "vede" un certo numero
     di stampanti e di video (o di organizzazioni  di  video)  in
     maniera  naturale.  D'altra  parte  ognuno di essi, messo in
     mano ad un professionista, potrà  essere  piegato  a  vedere
     qualsiasi  stampante o video (che abbia le necessarie carat-
     teristiche tecniche).  Si dovrà dunque tener conto del fatto
     di poter avere o meno la necessaria consulenza.
        Sotto  un altro punto di vista una stampante si riconosce
     (come tipologia) dai comandi che esegue.  Se  due  stampanti
     eseguono gli stessi comandi allo stesso modo, sono in prati-
     ca la stessa stampante.
        In verità gli impaginatori non producono comandi per  una
     stampante, ma producono un file di comandi per una stampante
     ideale, che non esiste. Sarà poi un secondo programma,  con-
     nesso all'impaginatore, che si incaricherà di mettere in re-
     lazione il file uscito  con  la  stampante  a  disposizione.
     Questi programmi si chiamano *driver.
        Il  file  prodotto dall'impaginatore è un cosiddetto DVI,
     *device indipendent, cioè in sostanza è scritto in suo  pro-
     prio  linguaggio,  che viene interpretato dai *driver adatti
     alla stampante a disposizione.  Nessun  programma  serio  di
     scrittura dà comandi direttamente alla stampante.
        Quanto  al  funzionamento  della  stampante  nei riguardi
     dell'impaginatore (attraverso il *driver), si possono vedere
     le cose in questo modo. Le stampanti hanno già in sè un cer-
     to numero di *set di caratteri. Quando si deve  ricorrere  a
     caratteri diversi per forma o per dimensioni, l'impaginatore
     comanda le possibilità c.d. grafiche della stampante.
        Finché l'impaginatore non deve porre nella pagina  carat-
     teri  ignoti  alla  stampante, esso si limita ad indicare la
     posizione dei caratteri, ed  "usa"  quelli  già  disponibili
     all'interno della stampante.
        Quando  invece  l'impaginatore deve inserire caratteri di
     dimensioni diverse (p.es. per il titolo; oppure più  piccoli
     per le note; oppure anche disegni etc.) esso crea quello che
     vuole, usando le caratteristiche grafiche della stampante (o
     del video).
     
        Un  problema  a questo punto è la correzione delle bozze.
     Se si ha la possibilità di un equipaggiamento di tipo  *pre-
     view   e  stampante  laser,  non  c'è  problema.  Altrimenti
     l'utente produrrà un file che contiene, come PLL, dei coman-
     di che egli avrà concordato col tipografo.
        In questo caso il risultato finale egli lo può vedere so-
     lo quando il tipografo glielo avrà prodotto (in generale  la
     cosiddetta  *strisciata),  e  dunque questo prodotto avrà un
     costo non indifferente. Ogni bozza avrà cioè un costo che si
     avvicina  a  quello del prodotto finito (escluso il procedi-
     mento materiale di moltiplicazione delle copie).
        Per questo è opportuno organizzarsi, anche a questo  liv-
     ello  "minimale",  in modo da poter vedere le bozze indipen-
     dentemente dall'impaginazione. E' consigliabile produrre  un
     file  di solo testo, cancellando i comandi di impaginazione,
     in modo da poter correggere il testo.
        Per correggere l'impaginazione, si dovrà comunque  ricor-
     rere alle vere bozze presentate dal tipografo.  Si può anche
     tener presente che piccoli programmi  di  impaginazione  che
     possono servire come via di mezzo fra testo bruto e fotocom-
     posizione, per correggere le bozze, si  trovano  scritti  su
     molte  pubblicazioni  specializzate,  si  possono dunque ac-
     quisire in qualche modo.
        La correzione delle bozze avviene in due tempi su due pi-
     ani diversi. Per quanto riguarda il testo in se stesso, esso
     viene corretto in loco, arrangiandosi per vederlo  nel  modo
     più  conveniente con i mezzi che si hanno a disposizone. Una
     volta invece che il file che comprende anche  i  comandi  di
     impaginazione  viene  consegnato al tipografo, la correzione
     della bozza che questi presenterà non sarà fatta  producendo
     un  altro file da consegnargli, ma indicandogli direttamente
     le correzioni da portare nella memoria del  calcolatore  che
     il tipografo usa.
        In  questo secondo momento, cioè, riprende in certo senso
     il rapporto tradizonale fra il tipografo e  l'utente,  salvo
     il  fatto  che il tipografo dovrà intervenire assai poco sul
     testo che gli è stato consegnato. E' anche  conveniente  far
     fare  direttamente  dal  tipografo  il  disegno  di tabelle,
     grafici, etc.
        Se si usa un file depurato dei comandi  di  impaginazione
     per  correggere  le  bozze, occorre fare attenzione in quale
     file si introducono le correzioni.  Esse  dovrebbero  essere
     sempre  introdotte  nel  file  originale, perché se è facile
     produrre un file depurato partendo da uno con i  comandi  di
     impaginazione,  è  sostanzialmente  impossibile  produrre di
     nuovo automaticamente un file con i comandi di impaginazione
     (ma  corretto  nel testo). Si potrebbe casomai ridurre i co-
     mandi di impaginazione (che è  bene  siano  in  chiaro,  per
     evitare  gravi  errori)  a segni piccoli (un $ o un % etc.),
     che poi possono essere di nuovo decodificati.
        E' vero che oggi spesso gli stessi  impaginatori  pensati
     per  apparecchi di fotocomposizione girano anche su Personal
     Computer, ma spesso non è facile  implementarli  in  maniera
     soddisfacente  per  le esigenze minori (come appunto la cor-
     rezione di bozze); mentre se sono bene implementati  per  le
     esigenze  maggiori,  è  inutile  allora  ricorrere ad un ti-
     pografo per la fotocomposizione.
     
     2.4 Stampa.
     
        Molti problemi relativi alla stampa sono  già  stati  af-
     frontati.  Qui  vogliamo  prima  di tutto specificare i vari
     tipi di stampante oggi disponibili;  quindi  approfondire  i
     modi di stampa dei caratteri non latini.
        E' bene tener presente i tipi di stampante oggi esistenti
     sul mercato, prima di organizzare un lavoro di pubblicazioni
     di  testi  aiutata  dal  computer,  perché ognuno di essi ha
     caratteristiche sue proprie, che lo rendono adatto ad alcune
     necessità   piuttosto  che  ad  altre.  Anche  le  stampanti
     sofisticate spesso non assommano in sè tutte le  caratteris-
     tiche proprie di altri tipi di stampante.
     
     DAISY WHEEL (= a margherita, o a pallina). Essa è la diretta
     discendente delle macchine da scrivere di tipo analogo, sal-
     vo che il movimento della margherita è comandato dal comput-
     er piuttosto che da una tastiera.  Esse hanno una qualità di
     scrittura  assolutamente  superiore a quella delle stampanti
     ad aghi, e sotto questo punto di vista sono eguagliate  solo
     dalle laser, e superate dai phototypesetter. Esse sono rela-
     tivamente lente, ed è complicato cambiare i set di caratteri
     (occorre  ogni  volta fermare la stampa ed intervenire), che
     sono comunque in numero piuttosto  limitato.  In  teoria  si
     potrebbe produrre margherite con qualunque set di caratteri,
     ma il costoso procedimento di produrre un  prototipo  sembra
     al di fuori della portata delle ricerche di ambito umanisti-
     co.
     
     DOT MATRIX (a matrice di punti, o ad aghi). Le lettere  sono
     prodotte  facendo  battere sulla carta, attraverso il nastro
     inchiostrato, un certo numero di punte di ago  disposte  via
     nel  modo  opportuno  per disegnare i vari caratteri. Questo
     tipo di stampante è quello più corrente a livello di sistemi
     pesonali  o di piccola potenza. E' veloce e molto flessibile
     nella costruzione di set di caratteri; ma la  qualità  della
     stampa,  anche  dopo  gli ultimi perfezionamenti (cosiddetta
     "letter quality") è insoddisfacente per lavori di  un  certo
     impegno.
     
     LASER.  Viene  sfruttata la possibilità di guidare un raggio
     laser ad impressionare una matrice inchiostrabile,  in  modo
     simile ad una fotocopiatrice. E' il tipo che oggi si sta im-
     ponendo per la maggior parte delle applicazioni  di  impegno
     medio-piccolo.  Ha la caratteristiche migliori dei tipi dot-
     matrix e daisy-wheel, ed è molto veloce. Ma presenta  ancora
     problemi  di  meccanismi  di  trascinamento della carta e di
     manutenzione (simili appunto a quelli di  una  macchina  per
     fotocopie).
     
     PHOTOTYPESETTER   (fotocomposizione).   Sono   le   macchine
     migliori in assoluto, basate sul funzionamento del CRC (tubo
     a  raggi  catodici, come la televisione). Il loro costo tut-
     tavia ne permette l'acquisizione solo  a  strutture  grandi,
     come p.es. le tipografie.
     
     (Accenniamo  soltanto  a tipi di minor interesse per l'argo-
     mento di questo saggio, come  le  stampanti  a  GETTO  D'IN-
     CHIOSTRO e a CATENA).
     
        Per quanto riguarda i vari modi di ottenere i caratteri o
     alfabeti speciali (non latini), e la loro convenienza  rela-
     tiva,  può  essere  opportuno chiarirsi le idee di come fun-
     zione il cambiamento di *font (set di caratteri) nelle stam-
     panti  laser comuni (le altre si comportano in modo simile).
        Le stampanti laser hanno delle cartucce con un certo  nu-
     mero di set di caratteri. P.es., quando si fa l'"auto-test",
     esse presentano tutti i caratteri di  cui  sono  capaci  con
     quella determinata cartuccia. Ciascuno dei segni corrisponde
     a un codice ASCII,  e  viene  attivato  quando  riceve  tale
     codice dal computer.  Essi hanno una certa forma ed una cer-
     ta grandezza (cioè esiste un medesimo  font  in  due  o  piì
     grandezze, per fare titoli etc.), ma tale grandezza standard
     non viene cambiata dal software del computer. Per  fare  ciò
     il  computer  si  serve  delle capacità grafiche della stam-
     pante, di volta in volta (cf.  sopra).   Per  il  resto,  se
     p.es. si ha a disposizione una C alta due centimetri, non si
     può farla diventare di tre.
        Questo è il discorso di base: arrivano le cartuccie con i
     set  di caratteri. Se si ha il set che serve, bene; se no ci
     si deve arrangiare. I problemi cominciano  quando  si  vuole
     ottenere caratteri diversi, per forma o per grandezza.
        Primo caso: ottenere caratteri di altro tipo. Secondo ca-
     so: si vuole maneggiare la grandezza. Vi sono  macchine  e/o
     programmi capaci di ottenere queste cose. Alcuni mostrano il
     risultato anche su video  (cf.  quanto  detto  sopra).  Essi
     aprono  una  specie  di  editor, che presenta una maschera a
     tutto schermo, e si riempie tale maschera con la  forma  del
     carattere  che  serve  (questo  può valere anche per disegni
     etc.). Poi la forma viene memorizzata (rimpicciolita  a  pi-
     acere),  viene messa in relazione con un certo codice, e con
     un certo tasto della tastiera, e  può  essere  mandata  alla
     stampante, quando serve.
        La  stampante è manovrata dal software che sta nell'unità
     centrale, in maniera grafica. Occorre  solo  badare  che  la
     stampante  (e  il  video) siano fra quelli previsti dal pro-
     gramma, o che siano comunque compatibili. Si  badi  tuttavia
     che  questi programmi non interagiscono con gli impaginatori
     indipendenti da loro.  Alcuni di essi hanno un loro  impagi-
     natore,  che  allora si dovrà usare al posto degli altri. Ma
     tali impaginatori non saranno mai all'altezza di  quelli  di
     cui si è parlato sopra.
        Tra i prodotti standard non c'è una soluzione che va bene
     con  qualunque  programma,  con   qualunque   sistema,   con
     qualunque  stampante. Per tornare al problema dei caratteri,
     facciamo un esempio pratico. Troff (il  programma  impagina-
     tore  disponibile  nel sistema operativo UNIX) produce prima
     di tutto un *DVI; questo passa attraverso un *driver  adatto
     alla  stampante  scelta.   Si  può  pensare  di aggiungere a
     questo punto un altro filtro, che, in presenza di certe cod-
     ifiche ASCII mandate dal filtro di Troff, istruisce la stam-
     pante a formare caratteri non latini, ma di altro tipo  pre-
     visto in questo secondo filtro.
        Ripetiamo  che  NORMALMENTE  LA SCELTA DI UN IMPAGINATORE
     IMPONE UNA SERIE DI FACILITIES (TIPO DI STAMPANTE ETC.)  CHE
     SI  HANNO  D'UFFICIO.   NON  SI PUO' MESCOLARE IMPAGINATORI,
     FILTRI ETC.  Ci si deve informare, quando si  acquisisce  un
     impaginatore,  di quali macchine esso preveda vengano usate.
        Un impaginatore pensa solo agli ingombri  fisici.  Se  si
     cambiano i caratteri per mezzo di un filtro, ovvero si hanno
     direttamente   sulla   stampante   (p.es.   attraverso    il
     POSTSCRIPT,  un sistema software inserito nella stessa stam-
     pante laser, che oggi va acquisendo i caratteri di uno stan-
     dard)   bisogna  inserire  nell'impaginatore  le  dimensioni
     dell'ingombro fisico di tali caratteri.   L'impaginatore  si
     fa una pagina con gli ingombri dei caratteri: che siano cop-
     to, turco o cirillico per lui è lo stesso.  In quale momento
     la  stampante  viene  a  sapere  che  deve cambiare font? Ci
     saranno dei controlli nel file origine che dicono: fonte  1,
     fonte  2,  fonte 3 etc. In corrispondenza di tali controlli,
     l'impaginatore fa cambiare il  font  nella  cartuccia  della
     stampante.  Si badi però che non si potrà mettere le mani su
     questi controlli, in fase  di  uscita  dell'impaginatore.  A
     questo punto l'impaginatore però si comporta come se gli in-
     gombri di questi caratteri che la  stampante  sostituisce  a
     quelli  "normali"  siano uguali a quelli "normali".  Occorre
     dunque badare che tali ingombri coincidano.
        E' possibile inserire in Troff l'indicazione di tali  in-
     gombri,  ma  la cosa appare complicata rispetto alle normali
     possibilità di un ricercatore di campo umanistico.
        Il sistema più conveniente sembra quello di utilizzare la
     possibilità che hanno gli impaginatori di riprodurre, quando
     lo si voglia, sistemi di  scrittura  non  proporzionali.  In
     questo  caso  si può essere sicuri che l'ingombro dei carat-
     teri è sempre lo stesso.