Tito ORLANDI
Chiesa Copta -- per Theologische Realenzyklopädie
Secondo l'etimologia oggi più accettata, il termine
"copto" è l'europeizzazione del vocabolo arabo Qubti-
Qibti (variamente vocalizzato), a sua volta derivato
dal greco "aiguptios", che riproduceva uno dei nomi
dell'Egitto nella lingua autoctona. Il passaggio è
avvenuto attraverso il latino umanistico "cophti, cop-
htitae".
Gli arabi usarono inizialmente questo termine per desi-
gnare gli abitanti autoctoni dell'Egitto conquistato,
in contrapposto ai "Rum", cioè ai greci-bizantini. Il
termine non aveva dunque in sè connotazione religiosa.
Dal punto di vista religioso la denominazione più co-
mune era di "melchiti" per i cristiani in comunione con
Costantinopoli, in contrapposto a "giacobiti" (dal nome
di :Giacomo Baradeo) per i "ribelli" anti-calcedonensi.
Questi designavano se stessi (se necessario) piuttosto
col termine di "teodosiani", dal nome del patriarca
:Teodosio di Alessandria, che aveva incaricato Giacomo
Baradeo di riorganizzare la Chiesa anti-calcedonense in
crisi (cf. sotto).
Nei secoli successivi queste distinzioni vennero a
perdere chiarezza e attualità. Gli europei dal XVII
sec. in avanti riprodussero il tardo uso locale di
chiamare "copti" la minoranza cristiana egiziana, in
contrapposto ai musulmani, e dunque Chiesa copta quella
a cui essi aderivano. Essendosi formate ulteriori divi-
sioni dovute ai contatti con le Chiese europee (copti
"cattolici"; copti "evangelici"; etc.), il nome con cui
la Chiesa copta tradizionale preferisce oggi chiamarsi
è quello di "Chiesa Copta Ortodossa".
I limiti storico-cronologici del fenomeno "Chiesa cop-
ta", non potendo coincidere con quelli della sua deno-
minazione, diventano un problema che viene risolto in
modi diversi. I copti stessi pongono la fondazione
della propria Chiesa all'epoca della (supposta) predi-
cazione di Marco evangelista ad Alessandria. Ma per
quanto riguarda una delimitazione del campo di studio,
la critica occidentale per lo più considera lo sviluppo
del cristianesimo egiziano almeno fino al Concilio di
:Calcedonia (450) come parte della storia generale del
cristianesimo (:Aegypten, Kirchengeschichtlich).
Alcuni dunque considerano il 450 come limite cronologi-
co iniziale della Chiesa copta. Ma poiché almeno fino a
Giustiniano (ca. 550) il distacco dalla Chiesa bizanti-
na non fu sentito come definitivo, è forse più corretto
assumere come inizio il momento in cui :Giacomo Baradeo
provvide a ristrutturare la Chiesa cristiana anti-
Calcedonense d'Egitto in grave crisi (543 sgg.). Gli
studiosi sono comunque in accordo nel chiamare "copta"
la Chiesa egiziana a partire dall'epoca della conquista
araba.
E' lecito parlare di una fondazione culturale della
Chiesa copta. Infatti anche prima del distacco formale
dalle Chiese che formularono e acquisirono le decisioni
di Calcedonia, la Chiesa egiziana presentava alcuni
tratti e fenomeni particolari che vengono generalmente
riconosciuti come "copti" (o specificamente egiziani)
dagli storici, e ritenuti come patrimonio proprio es-
senziale dalla stessa cultura copta.
Uno di questi è la struttura rigidamente monocratica
della gerarchia ecclesiastica, col potere accentrato
totalmente presso il vescovo di Alessandria. Essa viene
comunemente paragonata all'organizzazione dello stato
faraonico, e spesso il vescovo di Alessandria è stato
considerato l'erede dei faraoni. Il grande :Atanasio fu
soprattutto considerato dai copti come rappresentante
di tale concezione, per la fermezza con cui seppe far
valere la propria posizione (identificata con quella
dell'Egitto), e per la forza con cui si oppose al
potere politico in nome della convinzione religiosa.
Altro elemento è il movimento monastico. Esso, iniziato
in Egitto, divenne ben presto fenomeno internazionale,
e come tale non si può definire copto, nel complesso,
nemmeno il monachesimo egiziano. Ma è indubbio che
certi elementi culturali e spirituali presso alcune
comunità siano da considerare fra i fondamenti su cui
in seguito poggerà la Chiesa copta. Il nome che rias-
sume quegli elementi è :Shenute, il grande archimandri-
ta che porterà la lingua estremo-egizia (sia pure fram-
mista al greco), quella appunto che viene chiamata
"copta", a livelli letterari di grande dignità, e dun-
que porrà le basi della letteratura copta, e nello
stesso tempo, agendo sempre in completo accordo coi
patriarchi di Alessandria, darà un saldo indirizzo
etico, pragmatico, e in parte dottrinale, alle comunità
cristiane del Basso Egitto. Saranno proprio queste
comunità a rappresentare il punto di forza della Chiesa
"teodosiana" nei confronti dei Calcedonensi.
Da Calcedonia all'invasione araba. La Chiesa copta è
dunque il risultato di un complesso susseguirsi di
eventi storici, che agiscono su strutture mentali e
spirituali preesistenti. Gioverà ricordarli succinta-
mente.
Dopo il rifiuto da parte del patriarca :Dioscoro (444-
454) di accettare le risoluzioni del Concilio di Calce-
donia, in un primo tempo sia gli egiziani(-alessandri-
ni) sia l'impero speravano di poter addivenire ad un
accordo. Il seggio di Alessandria fu conteso spesso da
due o più vescovi, consacrati dai diversi partiti, ma
nel complesso si cercava di evitare una netta divisione
di organizzazione ecclesiastica.
Gli stessi anti-calcedonensi conobbero al loro interno
molti dissensi. Quando l':Henotikon di Zenone fu accet-
tato da Pietro Mongo (477-490), molti non furono con-
vinti, e si formò il partito degli akephaloi, che non
riconoscevano alcun vescovo ad Alessandria.
Un'altra divisione si formò a causa di differenti opi-
nioni teologiche ad Antiochia, fra :Severo e :Giuliano,
ma ebbe presto riflessi sulla situazione egiziana.
Infatti dopo la fine dello :scisma acaciano (Antiochia,
519) l'imperatore Giustino perseguitò i monofisiti di
Siria ma non (ancora) quelli d'Egitto, per cui molti
siriani (fra cui appunto Severo e Giuliano) si rifugia-
rono in Egitto. Qui ambedue i teologi trovarono adepti.
La discordia divenne politica al momento della succes-
sione di Timoteo III (535), contesa fra Teodosio (seve-
riano) e Gaiano (giulianista). Il primo prevarrà, con
l'aiuto dell'imperatore, ma si formerà il partito dei
Gaianiti, che non ne riconosceranno l'elezione.
Dopo le persecuzioni di Giustiniano (527-565) e grazie
anche all'opera di Giacomo Baradeo (che riuscì a met-
tere riparo dopo il periodo di cosiddetta anarchia
seguita alla morte del patriarca Teodosio, 566) la
Chiesa "copta" comprese di dover ormai contare solo
sulla sua capacità di sopravvivere e darsi ordinamento
e vita autonome.
In questo periodo molta importanza ebbe l'opera dei
monaci, ed in particolare di alcune figure che, comple-
tamente dimenticate dalla tradizione in lingua greca
(anche anti-calcedonense), sono celebrate in una serie
di testi in copto. Alcuni di essi (Abraham, Apollo,
Manasse) rappresentarono la resistenza anti-calcedonen-
se in seno ai Pacomiani, che nella loro struttura
ufficiale furono costretti a schierarsi con la Chiesa
imperiale. Essi dovettero abbandonare i loro monasteri
e ne fondarono degli altri, che divennero il centro
della resistenza teodosiana. Questi monasteri riconob-
bero probabilmente come loro punto di riferimento il
monastero fondato da Shenute, e da questo momento i
pacomiani diventeranno estranei alla Chiesa copta.
Verso la fine del VI sec. la situazione della Chiesa
copta migliorò sensibilmente. Il patriarca Damiano
(578-605; di origine siriana) poté agire e muoversi con
una certa libertà, e ne approfittò per riportare ordine
nella gerarchia e serenità nell'attività normale della
Chiesa.
I rapporti con Antiochia rimanevano molto stretti ma
tormentati. A complicarli venne la disputa "triteita",
nata dalle teorie di Giovanni "Askoutzanges" (siriano
di Apamea) che identificando aristotelicamente i termi-
ni di hypostasis e di physis attribuiva alla Trinità
tre nature distinte. A tali teorie aderirono molti
gruppi anche monastici, e una grossa personalità ales-
sandrina, lo studioso aristotelico :Giovanni Filopono.
L'eresia triteita era stata denunciata a suo tempo da
Teodosio in uno scritto che rimase fondamento della
dottrina trinitaria della Chiesa copta. Damiano la
contrastò con energia, a costo di nuovi dissensi con
Antiochia, che durarono per molto tempo.
Gli archivi di due vescovi (Abraham di Hermonthis,
attivo 584-624; Pisenzio di Keft, m. 631) largamente
conservati, ci permettono di conoscere la vita della
Chiesa copta in questo periodo. I vescovi erano scelti
fra i monaci, e per lo più non risiedevano nel capoluo-
go del vescovado, ma in un monastero, di cui erano
anche hegoumenoi. Essi erano capi assoluti di tutto il
clero e i monaci del distretto, che governavano seguen-
do i Canoni riconosciuti dal patriarcato alessandrino
(teodosiano), considerati come scrittura ispirata. Essi
nominavano il loro successore. Ordinavano i presbiteri,
che dovevano avere una certa cultura (conoscere un
Vangelo a memoria etc.), osservare i digiuni e le
veglie prescritte, astenersi dal commercio e dall'usu-
ra. Sorvegliavano la correttezza delle cerimonie litur-
giche; provvedevano personalmente a celebrare i batte-
simi, e per questa cerimonia particolarmente importante
restano numerose omelie copte. Si occupavano anche di
questioni civili: direttamente, se toccavano anche la
vita cristiana (la scomunica era anche per le conse-
guenze civili una punizione assai grave); altrimenti di
concerto con i magistrati, che consideravano con grande
rispetto l'autorità dei vescovi, in ciò incoraggiati da
decreti imperiali (Novellae 86 e 123). Oltre che per le
cure spirituali, si ricorreva al vescovo (soprattutto
se in fama di santo, e dunque di taumaturgo) spesso
anche per malattie o per soccorsi di carattere mondano.
In questa stessa epoca la Chiesa copta, per effetto
della relativa tranquillità di cui godette, e del tra-
monto dell'illusione di potersi riunire un giorno
(alle sue condizioni) alle Chiese calcedonensi, conobbe
una florida stagione culturale autonoma. La lingua
copta, che con la sua commistione di elementi egiziani
e greci era stata piuttosto un fenomeno artificiale che
espressione popolare, si afferma come veicolo ovvio di
comunicazione, sia al livello letterario che a quello
delle attività quotidiane. Ciò è attestato da un lato
da parecchie opere (di solito sotto forma di omelie)
scritte in questo periodo da autori come Pisenzio di
Keft, Costantino di Siout, Giovanni di Paralos, Rufus
di Shotep; dall'altro dai documenti privati su papiro e
ostraca pervenuti in gran numero.
Le omelie scritte in copto erano destinate a sostituire
la corrispondente letteratura dei Padri greci, fino
allora usata nelle opportune occasioni liturgiche.
Occorre tuttavia tener presente che il greco conservò
sempre grande importanza anche in ambiente copto. Le
persone colte erano solitamente bilingui, e la futura
cultura teologica in lingua araba si riallaccerà alla
tradizione in greco piuttosto che a quella in copto, da
cui era assente appunto tutta la parte speculativa.
Organizzazione amministrativa. Come era accaduto duran-
te l'occupazione persiana, gli arabi inizialmente man-
tennero nel complesso quella bizantina, ed anche il
personale che la gestiva proveniva dalla popolazione
locale. Vennero però sovrapposti dei magistrati arabi
per le diverse necessità. Al di sopra di tutti, con
potere assoluto, l'amir (governatore, rappresentante
del Califfo); alle sue dipendenze un capo militare; un
kadi per la giustizia; un tesoriere per la finanza. Si
deve anche tener conto del fatto che mentre i magistra-
ti arabi cambiavano continuamente, i copti erano stabi-
li.
Una riorganizzazione che permettesse agli arabi di
controllare più efficacemente la situazione amministra-
tiva comincia con gli omayyadi di Damasco, dal 661. Con
essa cominceranno anche le prime reazioni copte (cf.
sotto). Nel 730 venne effettuato un censimento generale
per evitare il fenomeno di spostamenti di località o
fughe al fine di non pagare le tasse. Per cambiare
residenza era comunque necessario un passaporto.
Nei primi 100 anni della dominazione il personale ammi-
nistrativo era tutto copto. Gli arabi non erano all'al-
tezza del compito, e del resto non si fidavano recipro-
camente. Anche nei periodi successivi, e fino al secolo
scorso, in condizioni talora buone, talora drammatiche,
i funzionari amministrativi erano per lo più copti.
La tassazione e i suoi problemi. Il tributo rappresen-
tava il cardine dei rapporti fra conquistatori e sog-
getti. Inizialmente la tassazione non dovette essere
molto pesante, probabilmente minore che sotto il domi-
nio bizantino, con la differenza che molta parte dei
proventi usciva dall'Egitto. Vi era una tassa personale
(da cui erano esclusi il clero e i monaci) ed un'impo-
sta sul terreno.
Si hanno anche notizie sporadiche di altre esazioni
straordinarie di vario tipo. Il patriarca Giovanni III
(680-689) fu costretto a pagare una grossa somma; e
probabilmente ogni elezione di un nuovo patriarca dove-
va essere accompagnata da una donazione all'amir. Più
tardi questo darà luogo addirittura all'"acquisto"
della carica. Ca. dal 700 anche i monasteri, che prima
erano esenti, furono sottomessi al pagamento delle
tasse (ma in misura minore). Il clero in generale era
esente. Nell'868 l'amir Ahmad b. al-Mudabbir raddoppiò
le tasse e tolse l'esonero a clero e monaci. Ma Ahmad
b. Tulun, che lo sostituì e imprigionò, migliorò la
situazione dei copti. In seguito anche questo problema
seguì le varie vicende dei rapporti religioso-civili
fra musulmani e copti.
Rapporti religiosi. Sembra che nei primi tempi gli
arabi non si rendessero ben conto del gioco delle
diverse Chiese cristiane in Egitto. Giovanni di Nikius
(trad. Charles p. 193) deplora che dopo la conquista
Amr abbia nominato magistrati calcedonensi. Comunque
poco dopo la conquista, con l'intervento di una delega-
zione copta che si era recata da Amr per ottenere il
rientro di Beniamino, vennero assegnate ai teodosiani
le chiese di Alessandria e altrove di cui disponevano
prima i melkiti. I copti furono riconosciuti come una
"nazione" (millah) ed il patriarca copto come il loro
capo civile. Si perpetua la commistione bizantina fra
potere religioso e civile. Per questo è importante
seguire i rapporti sociali ed economici insieme con
quelli religiosi.
Nel 725 i copti si possono calcolare a 5 milioni. Gli
arabi erano un'infima minoranza che viveva nelle (talo-
ra presso) le città più importanti. Il loro numero,
prima che iniziasse il fenomeno delle conversioni,
aumentava soltanto perché i nuovi amir arrivavano ac-
compagnati dai propri eserciti, la cui consistenza
variava dai 6000 ai 20000 uomini. Accadeva anche che
tribù arabe si trasferissero al completo in Egitto,
dando poi luogo a disordini e tumulti.
Sotto omayyadi e abbasidi la libertà di culto fu com-
pleta, ma controllata. Dovevano essere tradotte le
preghiere e la liturgia per assicurare che non conte-
nesse frasi che i musulmani non potessero permettere.
La nomina dei patriarchi e dei vescovi doveva essere
sottoposta all'autorizzazione dell'emiro. Di Beniamino
è nota la raccolta delle Lettere Festali, mentre ciò
non accade per i predecessori. Questo è probabilmente
dovuto alla riacquistata liberà.
Nel 695 si contano 70 diocesi, delle 100 che sembra
esistessero nel IV sec. e fino all'inizio del VII sec.
Nel XIV sec. diventeranno 40. Diminuiranno poi fino a
25, mentre oggi sono 41. Nel 718 l'amir Kurra ibn Sarik
depreda le chiese e cerca di islamizzare i funzionari.
Era evidentemente iniziato il periodo di rapporti dif-
ficili fra islamici e copti, che dette luogo a vere e
proprie rivolte, su cui non si hanno tuttavia notizie
dettagliate. Esse erano in realtà spesso un riflesso di
discordie interne agli arabi. 6 insurrezioni dal 725 al
773 (in corrispondenza del cambiamento a Damsco fra
califfi omayyadi e califfi abbasidi); più grave quella
cosiddetta bashmurita (829-830), tipicamente unita a
turbolenze arabe, sotto il califfo al Mamun. Pochi sono
i martiri degli arabi inseriti nel sinassario. Da ri-
cordare Giovanni di Fanijoit, martirizzato sotto al
Malik al Kamil (1218-1238), perché su di lui è stato
scritto uno degli ultimi testi della letteratura copta.
Gli storici alludono variamente a regolamenti discrimi-
natori per i cristiani. Nel 689/90 sembra che per la
prima volta si diano disposizioni contro i cristiani.
Essi dovevano portare segni di riconoscimento; gli
emblemi fuori dalle chiese dovevano essere distrutti. I
decreti tuttavia cadevano probabilmente in desuetudine,
e dopo qualche tempo tutto si risolveva col pagamento
di somme per ottenere eccezioni ed esenzioni. Del resto
la prassi politica musulmana sembra essere in questo
abbastanza contraddittoria nel tempo. Si ha notizia di
rinnovi dei decreti nel 713/4 e ancora nel 722/3. Sotto
Harun el Rashid 790 si impongono di nuovo e con maggior
severità segni distintivi.
Regole più strette vennero introdotte nell'850, sotto
il califfo al Mutawwakkil: vesti distinte, segni sulle
abitazioni, divieto di mostrare croci in pubblico,
divieto di montare cavalli. Un problema particolare
riguarda la conservazione e (ri)costruzione degli edi-
fici di culto. Sembra che gli storici islamici tendano
a retrodatare i provvedimenti al riguardo, e che fino
all'VIII non fosse vietata la costruzione di chiese.
Poi si arrivò a impedire la costruzione di nuove (p.es.
editto di Mutawakkil ca. 850), la restaurazione delle
antiche, e anche alla distruzione (in momenti di perse-
cuzione).
Quanto al fenomeno delle conversioni, spontanee o impo-
ste (la Storia dei Patriarchi allude a conversioni a
partire ca. dal 760 - p. 370), nei primi due secoli i
convertiti restano musulmani di seconda categoria.
Tuttavia, essendo di cultura di solito superiore ai
dominatori, esercitarono un influsso sulla stessa dot-
trina islamica. Sembra che una quantità imponente di
convertiti si abbia solo col X sec.; e che la conver-
sione in massa si effettui sotto i mamelucchi (dopo il
XIII sec.).
Ibn Tulun (868-883) instaura un clima di tolleranza per
i cristiani; tuttavia tratta severamente i patriarchi
Shenuda I (859-880) e Khail III (880-890). Anche sotto
i Fatimidi continuano buoni rapporti. Soprattutto Al
'Aziz è grande amico dei cristiani. Nomina viceré di
Siria un copto, Quzman ibn Mina. Fanno eccezione: il
periodo terribile di al Hakim e il periodo finale di
transizione con gli Ayubidi, quando di nuovo furono
emessi decreti sui distintivi, tasse etc. e iniziarono
conversioni numerose.
Quella di al Hakim (996-1021) fu una vera persecuzione,
condotta con determinazione e ferocia, ma concepita
dalla mente di una persona non equilibrata. In effetti
anche le regole imposte ai sudditi arabi erano estremi-
ste, e anche i giudei furono perseguitati. Ai cristia-
ni, a parte il rinnovarsi dell'obbligo di portare di-
stintivi umilianti, fu proibito di avere schiavi, furo-
no confiscati beni delle Chiese, furono effettuate
distruzioni di chiese e conventi. Tuttavia verso la
fine della vita lo stesso al Hakim mutò atteggiamento,
tanto da trattare i cristiani meglio degli stessi mu-
sulmani.
Sotto Salah ed Din (1174-1193) i cristiani soffrirono
in un primo tempo per i sospetti circa possibili collu-
sioni coi crociati. Gli si vietarono le professioni di
segretario (funzionario pubblico) e di medico. Tuttavia
continuarono ad essere impiegati anche a corte. Quando
poi i sospetti si rivelarono infondati, i rapporti
ritornarono buoni. Iniziò così il periodo migliore,
sotto l'aspetto culturale, della Chiesa copta, che vide
il fiorire di insigni teologi, scienziati e grammatici
(cf. sotto). Tutto questo finì quando sopraggiunse il
dominio mamelucco. Esso per un certo tempo mantenne in
Egitto una buona prosperità economica, ma il trattamen-
to dei cristiani fu molto duro. Funzionari copti furono
ancora impiegati per i compiti finanziari, ma la loro
posizione era estremamente precaria. Appena assumevano
qualche importanza, venivano spogliati ed estromessi.
Rapporti coi melkiti. Dopo l'invasione araba, e la
morte di Ciro, Costantinopoli nominò un patriarca,
Pietro, ma poi la sede restò vacante fino al 742,
quando fu nominato un titolare. I vescovi nominati da
Costantinopoli non riuscirono comunque a risiedere ad
Alessandria. Tuttavia i melkiti potranno sopravvivere
anch'essi come comunità, e dal 727 furono riconosciuti
come nazione. Essi daranno vita ad una cultura abba-
stanza vivace, tanto che forse saranno essi a comin-
ciare a produrre una letteratura in arabo . La Storia
dei Patriarchi menziona un concilio dei melkiti ca. 760
(p. 357), e nel riportare la disputa a proposito del-
l'importantissimo santuario di Mena (presso Alessan-
dria), che essi rivendicavano, li dipinge come una
comunità ancora vivace e potente. E' difficile dire se
in quell'epoca essi si distinguessero ancora come greci
(etnicamente o linguisticamente) o fossero del tutto
assimilati ai copti.
Sulla vita interna della Chiesa copta le informazioni
sono assai scarse, soprattutto per i secoli VII-VIII,
per i quali la fonte sostanzialmente unica, la Storia
dei Patriarchi, tende a privilegiare le notizie sui
rapporti con gli arabi, e fra esse quelle relative alla
tassazione. Fino a quando continuò una produzione let-
teraria in copto (IX sec.), le omelie di Beniamino,
Agatone (patriarca 662-680), Giovanni III (patriarca
680-688), Mena di Nikius (ca. 700), Zaccaria di Shkow
(ca. 715) ci testimoniano da un lato i rapporti sostan-
zialmente buoni con gli invasori, e del resto il fatto
che essi rappresentino un problema secondario; dall'al-
tro la vita tranquilla di una Chiesa alle prese con i
normali problemi quotidiani di morale e di spirituali-
tà.
Dalla Storia dei Patriarchi sembra di poter capire che
per parecchio tempo un punto dolente furono i gruppi
cristiani non allineati con il patriarca giacobita:
oltre ai melchiti sono spesso nominati i gaianiti e
(stranamente) i barsanufiani. Altri testi ci provano
che continuavano a resistere anche gruppi autonomi di
meliziani. Soltanto dal IX secolo si attuò l'unità
della Chiesa, in particolare col riassorbimento degli
acefali, e anche i rapporti coi siriani diventarono
buoni.
Dall'VIII sec. si diffuse l'uso di acquistare le cari-
che ecclesiastiche per denaro. Questa rimarrà una ca-
ratteristica (pur talora combattuta) della Chiesa cop-
ta, derivata evidentemente dalla confusione fra potere
civile ed ecclesiastico (già forte sotto i bizantini, e
sistematizzata dagli arabi che non facevano per conto
loro tale distinzione). Le cariche ecclesiastiche por-
tavano vantaggi economici e potere sociale. Venivano
pagati gli elettori del patriarca ed il Califfo, poi si
vendevano i vescovadi per sopperire alle perdite.
Christodoulos (1046-1078) portò la residenza del pa-
triarca al Cairo, in omaggio ai Fatimidi che avevano
fondato la nuova capitale, e quasi come segno della
rinuncia ai rapporti mediterranei per privilegiare
quelli africani. In effetti Christodulos fu imprigiona-
to da Yazuri per sospetto di aver complottato con la
Nubia. Egli pubblicò importanti Canoni su matrimonio,
sacramenti, consacrazioni etc. Sotto Cirillo II (1078-
1092) molti armeni si trasferirono in Egitto e si
instaurò un'intesa con la chiesa armena. Sotto Giovanni
V (1146-1164) è da segnalare una controversia relativa
al sacramento della confessione, che i copti avevano
preso l'abitudine di fare silenziosamente in comune.
Fra il 1174 e il 1208 Markus ibn Qanbar, di origine
antiochena, cercò di effettuare una riforma su questo
tema, riguardante anche la liturgia, ma senza grande
successo. Cirillo III (1235-1243) fu un pessimo patri-
arca ma convocò un importante sinodo con canoni di
riforma e produsse una collezione di canoni.
Il sec. XIII è un secolo splendido per la cultura
copta, ed in particolare la letteratura dei copti in
lingua araba conosce il suo periodo aureo. I primi ad
adottare l'arabo come lingua letteraria in ambito cri-
stiano erano stati i siriani, presso i quali era assai
vivo l'interesse per la filosofia e la teologia (so-
prattutto da ricordare la figura di Yahia ibn Adi, n.
893, di cui sono debitori gli autori copti di questo
periodo). La letteratura copto-araba è più copiosa e
più varia, ma meno ricca di contenuto speculativo.
Severo di Ashmunein, il primo autore conosciuto, scris-
se opere di apologia, di dogmatica, di storia (anche se
la sua autorità per la Storia dei Patriarchi è oggi
discussa), di liturgia. Alla fine del XII sec. Markus
ibn Qanbar scriverà opere di polemica ecclesiologica e
di esegesi. Ma è nel sec. XIII che incontriamo un gran
numero di scrittori importanti, che scrissero su nume-
rosi argomenti di teologia, etica, liturgia, linguisti-
ca, etc. Abu 'l Hair ibn al Taiyib scrisse un trattato
di apologia dogmatica, in cui trattò anche del culto,
dei sacramenti e della morale cristiana, rivolgendosi a
musulmani, giudei e fatalisti. Petrus al Sadamanti
scrisse sulla fede in generale e sulla Trinità; Yusab
vesc. di Ahmim contro la falsificazione musulmana di
dogni cristiani; Petrus Severus al Gamil sulle eresie
di melchiti, latini, armeni, nestoriani, una apologia
contro gli islamici, e la prima redazione del sinassa-
rio, che poi fu sistemato da Michael vesc. di Atrib e
Malig. Al Makin Girgis scrisse una storia che sarà la
fonte principale dell'arabo Makrizi per le sue notizie
sui copti; Paulus al Busi 8 omelie per le feste del
Signore e un commentario sull'Apocalisse; Cyrillus ibn
Laqlaq (patriarca dal 1216 al 1243) una raccolta cano-
nica e trattati sulla liturgia e sul problema del
sacramento della penitenza. Numerosi furono i grammati-
ci, che fissarono per iscritto regole e vocabolario
della lingua copta che scompariva come lingua parlata:
Giovanni vesc. di Samannud (autore anche di un compen-
dio teologico), Giovanni al Qalyubi, al Tiqa Ibn al
Duhairi, Ibn Qatib Qaisar.
Gli autori più celebri del periodo furono i tre fratel-
li, figli di al Assal. Al Safi scrisse una apologia
contro i musulmani e trattati sulla divinità di Cristo,
sulla rivelazione del Nuovo Testamento, sulla Trinità,
una raccolta di omelie ed una di canoni. Hibatallah
scrisse trattati sull'anima e sull'escatologia, sul
diritto matrimoniale, sul calendario, ed una grammati-
ca; Abu Ishaq scrisse una summa teologica, un'introdu-
zione alle lettere paoline, delle omelie in versi.
Finalmente è da ricordare Abu 'l Barakat, autore del
trattato forse più importante per la conoscenza della
Chiesa copta, chiamato Lampe der Finsternis und Darle-
gung des Dienstes. Esso è una vera enciclopedia teolo-
gica in 24 libri, su tutti gli argomenti utili a clero
e laici circa la fede, l'esegesi biblica, il diritto
canonico, la liturgia, il culto (su tutti cf. Graf II
295-300).
Col governo mamelucco inizia il periodo veramente disa-
stroso per i copti. Vennero distrutti chiese e conven-
ti; vi furono persecuzioni di vario tipo; di conseguen-
za conversioni in massa, che determineranno la crisi
definitiva (fino all'epoca moderna) della Chiesa copta.
Essa si trova da ora in avanti in condizioni di pura
sopravvivenza, pur contando qualche figura eccezionale.
Gabriel V (1409-1427) scrisse un commento al rito e
riformò i libri liturgici.
In questo periodo vennero restaurati, sia pure in ma-
niera discontinua, i rapporti con Roma. I Copti invia-
rono una rappresentanza al Concilio di Firenze (1423),
che si proponeva di riavvicinare le Chiese orientali, e
da allora inviati di Roma (soprattutto gesuiti e fran-
cescani) si recarono in Egitto con una certa regolari-
tà. I tentativi di riunificazione fallirono sempre; dal
sec. XVIII si costituì una comunità copta cattolica
sotto la giurisdizione del Patriarcato copto cattolico,
al Cairo.
Dopo il grave periodo di decadenza, la Chiesa copta
conobbe una rinascita (di cui tuttora dura la vitalità)
sotto il grande patriarca Cirillo IV (1854-61). Egli
fondò scuole pubbliche, anche per femmine; importò una
tipografia, dando impulso alla stampa di opere della
letteratura copto-araba; restaurò i rapporti con l'E-
tiopia. In questo periodo cessò la tassazione tradizio-
nale dei cristiani (djizya), che furono ammessi al
servizio militare.
Non esiste una precisa fonte esplicita che riassuma la
dottrina ufficiale della Chiesa copta. Bisogna ricor-
rere ai teologi enciclopedisti medievali o alle raccol-
te canoniche, da cui tale dottrina si può dedurre.
Il canone dei libri biblici corrisponde sostanzialmente
a quello della Vulgata, salvo che comprende 3Macc. e
divide in due Prov. (Abu 'l Barakat lib. VI). Oltre
alla Bibbia, anche la tradizione ecclesiastica è fonte
della rivelazione. Essa si manifesta soprattutto nelle
decisioni dei concilii ecumenici, ed in primo luogo in
quelle di :Nicea, di cui gli altri che i Copti ricono-
scono (:Costantinopoli ed :Efeso) rappresentano la
conferma. Inoltre: (a) nei Canoni dei sei concilii di
:Ancira, :Neocesarea, :Gangra, :Antiochia (341), :Lao-
dicea, :Sardica; (b) nei Canoni dei sette concilii di
Cartagine; (c) in una serie di testi posti sotto l'au-
torità degli Apostoli: la :Didascalia, le :Constitu-
tiones clementine, le :Constitutiones apostolicae;
(d) nei :Canones apostolorum; (e) in una :Epistula di
Pietro a Clemente.
Delle fonti della dottrina fanno parte inoltre le opere
dei Padri che siano generalmente riconosciute come
ortodosse, le costituzioni dei patriarchi copti, i
libri liturgici.
Quanto all'ecclesiologia, i Copti considerano la Chiesa
come l'insieme delle Chiese particolari, ciascuna con
la propria indipendenza. Considerano tuttavia partico-
larmente rilevanti i quattro patriarcati tradizionali
di Roma (riconosciuta come la sede di Pietro, capo
degli apostoli), Alessandria (sede di Marco, portavoce
di Pietro), Antiochia ed Efeso.
Il dogma della Trinità è naturalmente il fondamento
della dottrina. Oggi si riconosce da parte degli stori-
ci che il termine "monofisita" con cui la Chiesa copta
(o meglio la sua dottrina) è normalmente designata non
è esatto nè accettabile, in quanto appellativo dato
polemicamente dagli avversari. In realtà le distinzioni
dottrinali fra aderenti e avversari del Concilio di
Calcedonia sono difficilmente definibili, così come
quelle fra le diverse ramificazioni degli anti-calcedo-
nensi. La scissione fu dovuta più a motivi di politica
ecclesiastica (autorità dei maggiori patriarcati; rela-
zioni con l'impero) che a teorie incompatibili. In
complesso si può dire che i Copti restarono rigidamente
attaccati alla formula cirilliana dell'"una natura del
Dio logos incarnata", interpretata in modo riduttivo,
pur senza infirmare la realtà dell'umanità di Cristo.
Una parte popolare della dottrina copta è dedicata
all':angelologia, diretta discendente delle speculazio-
ni mistico-magiche del IV-VII sec., presenti in parec-
chi testi pervenuti anche in lingua copta. Il numero
delle schiere angeliche varia da 7 a 24; gli arcangeli
sono 4: Michele, Gabriele, Raffaele, Suriel, ciascuno
con proprie caratteristiche e compiti (cf. Muller En-
gellehre).
I dogmi del peccato originale, della immacolata conce-
zione (col relativo culto mariano) e della transubstan-
ziazione non presentano particolarità rispetto alla
comune dottrina tradizionale cristiana. Anche il culto
dei santi è quello tradizionale, salvo che sono ammesse
solo immagini dipinte e non statue. Molti importanti
erano i pellegrinaggi ai santuari più popolari, con
pratiche di devozione che comprendevano anche l'incuba-
zione. I sacramenti sono i 7 tradizionali, e le rela-
tive cerimonie sono regolate da una liturgia apposita.
Nella sua lunga vita separata, in stretto contatto con
l'Islam, la Chiesa copta ha sviluppato parecchie usanze
particolari molto interessanti, che non è possibile
elencare. Accenneremo tuttavia alla pratica della cir-
concisione per ambedue i sessi, e ai frequenti digiuni.
Liturgia. I riti e le preghiere della Chiesa copta sono
raccolti nei differenti libri liturgici, a suo tempo
elencati con precisione da Abu 'l Barakat (cf. Ville-
court Muséon 1924) e da allora poco mutati.
L'Euchologion comprende i riti della messa, in tre
tipi: la messa di s. Basilio, per i giorni ordinari; la
messa di s. Cirillo, per la quaresima e l'avvento (mese
di dicembre); la messa di s. Gregorio, per i giorni
festivi. Essi differiscono solo a partire dalla parte
riservata ai fedeli (chiamata anaphora). La parte dei
catecumeni è comune. Le letture bibliche da effettuare
durante le messe sono raccolte in ordine di calendario
nel Katameros. Il Synaxarion raccoglie i riassunti
(spesso da testi copti precedenti) di vite di Santi,
martirologi e altri eventi vari, disposti secondo l'or-
dine delle feste del calendario per la lettura quoti-
diana. Il Libro della Pasqua comprende l'ufficio per la
Settimana Santa; il Pontificale comprende il rito per
le consacrazioni, per i sacramenti e per l'ufficio
funebre; la Psalmodia è una raccolta di inni dedicati
alla Vergine e ai Santi. Vi è poi un "breviario" per le
preghiere quotidiane dei preti e dei monaci.
La musica liturgica riflette il modello bizantino in
otto toni, e probabilmente si è mantenuta assai fedele
nel tempo ai modelli antichi. Soltanto recentemente si
è cominciato a dedicarle attenzione da parte di musico-
logi.
Situazione attuale. Per volontà politica del governo
egiziano, mancano oggi dati precisi attendibili sulla
consistenza della minoranza copta. La Chiesa copta
dichiara ca. 9 milioni; una stima prudenziale può es-
sere di ca. 5 milioni. Negli ultimi decenni si sono
formate molte comunità copte all'estero: fuori dell'A-
frica e del Vicino Oriente se ne contano in Canada,
Stati Uniti d'America, Australia, Francia, Germania,
Inghilterra.
La gerarchia comprende il Papa, 9 metropolitani, 41
diocesi e ca. 2000 arcipreti e preti. Le chiese parroc-
chiali sono ca. 1000. I monasteri abitati sono 9 ma-
schili e 6 femminili. La Chiesa d'Etiopia è teoricamen-
te sotto la giurisdizione del Papa copto; fino al 1959
egli aveva il diritto di nominare il metropolita d'E-
tiopia.
I rapporti con i musulmani non si prestano ad essere
definiti con precisione. Il sentimento della nazionali-
tà egiziana è un forte elemento di unione, non esiste
alcun tipo di segregazione religiosa, e le due comunità
vivono fianco a fianco; tuttavia i copti sono per
alcuni versi cittadini di second'ordine. Le condizioni
per i matrimoni misti sono favorevoli ai musulmani. La
costruzione delle chiese è sottoposta ad una autorizza-
zione ufficiale, che viene ostacolata dalla burocrazia.
La domenica non è giorno festivo neppure per i copti. I
mezzi ufficiali di comunicazione raramente si interes-
sano ai problemi dei copti. I rappresentanti copti alla
Camera sono una percentuale minima; gli alti funzionari
dello stato sono tutti musulmani.
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